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Festival di Berlino 2019. La parola liberata: Ozon porta in concorso lo scandalo pedofilia

Festival di Berlino 2019. La parola liberata: Ozon porta in concorso lo scandalo pedofilia

Grâce à Dieu ripercorre la storia vera dell’associazione Parole Libérée che ha portato alla luce lo scandalo pedofilia nella diocesi di Lione attraverso la testimonianza delle vittime
Alexandre, oggi padre di 5 figli, da bambino è stato molestato da Padre Preynat, un sacerdote che seguiva il suo gruppo scout. È un segreto che si è tenuto dentro dopo che i genitori si sono rifiutati di ascoltarlo; quando però incontra un’altra vittima e scopre che il suo torturatore è ancora a contatto con dei ragazzini decide di denunciarlo alla diocesi, ricorrendo fino al cardinale Barbarin. Ma le gerarchie, pur mostrandosi comprensive non sembrano intenzionate a fare chiarezza e così Alexandre si rivolge all’autorità giudiziaria… è l’inizio di una “valanga” umana e mediatica che coinvolgerà a poco a poco altre vittime, uomini che si sono tenuti dentro il loro segreto e ora attraverso la possibilità di parlare cominciano un percorso di guarigione guardando in faccia chi li ha danneggiati e chi a coperto quelle molestie.

«Ho fatto tanti film su donne forti, ora volevo fare un film partendo da personaggi maschili capaci e disposti a mostrare le loro emozioni e i loro sentimenti… è cercando un soggetto che mi permettesse questo tipo di racconto che mi sono imbattuto nelle storie de La parole Liberée e ho capito che questo sarebbe stato il mio prossimo film»
È questa l’origine molto particolare della pellicola di François Ozon, che risuona ovviamente come una denuncia non solo del fenomeno della pedofilia, ma anche dell’omertà delle istituzioni che la coprono. Il regista parte da un caso specifico e ben documentato («Tutto quello che c’è nel film è già apparso in atti pubblici o sui giornali»), ma con l’intento di dire qualcosa di universale; ci tiene a ricordare nella conferenza stampa che le istituzioni che troppo spesso coprono gli abusi non sono solo la Chiesa, ma anche quelle del mondo sportivo o persino la famiglia.
« Il mio non è un punto di vista giudiziario, ma umano, al punto che è proprio dai personaggi che mi sono fatto guidare prima nello scrivere la sceneggiatura e poi nel girare il film»

Un film che ha in effetti una struttura non convenzionale, perché segue le figure di tre uomini: Alexandre (Melivil Poupaud), il primo a denunciare, François (Denis Ménochet), che crea un vero e proprio movimento per dare voce alle vittime, e Emmanuel (Swann Arlaud), un uomo che mostra in una vita disordinata e in un malessere fisico di portare ancora vivissimi i segni del passato.

«Il passaggio di testimone tra i protagonisti della storia rispecchia la realtà di come i fatti sono avvenuti e funziona soprattutto grazie alla bravura degli interpreti; ho però voluto assecondarla anche nel modo di girare il film, con uno stile più classico e statico per la parte di Alexandre, che per storia e carattere vorrebbe rispettare le istituzioni, più movimentata e dura con François che ha una reazione più violenta, intimo e doloroso con Emmanuel »
È proprio l’interprete di Emmanuel, Swann Arlaud, a raccontare la costruzione del personaggio «…al contrario, partendo dagli aspetti esteriori della virilità (la moto, i baffi) per raccontare una virilità ferita, non solo nel fisico, ma anche, profondamente, a livello psicologico ».
Il film è stato girato solo in piccola parte a Lione (con un titolo di lavorazione fasullo) e per il resto in Belgio per garantire la massima libertà a Ozon e ai suoi nel mettere in scena una battaglia che ha messo sotto i riflettori non solo le gerarchie ecclesiastiche del passato, ma anche l’attuale cardinale di Lione.
Eppure, ribadisce in chiusura Ozon « Il mio non è un film politico, ma civile. Non a caso si chiude su una domanda (quella che fa il figlio di Alexandre a suo padre: credi ancora in Dio?) e per me non vuole essere un punto d’arrivo, ma l’inizio di una discussione che possa aiutare le vittime e tutta la società ad evitare che fatti come questi si ripetano »

 

Foto: Courtesy of Berlinale 2019/ © Jean-Claude Moireau

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