Non è facile giudicare un film come Oranges and Sunshine, in concorso al Festival di Roma. Il film porta davanti agli occhi del grande pubblico una delle pagine più vergognose della storia recente, ovvero la deportazione organizzata di circa 130.000 bambini poveri, strappati a ragazze madri in difficoltà economiche, dall’Inghilterra all’Australia tra gli anni cinquanta e gli anni settanta e sfruttati in maniera ingiustificabile una volta arrivati a destinazione. Le scuse ufficiali dei due governi sono giunte solo l’anno scorso, dopo ventitre anni di lotte.
E’ difficile scindere l’emozione che si prova a scoprire un fatto di cronaca così grave dalla qualità artistica dalla quale un film, pur veicolando un messaggio importante, non può prescindere.
Jim Loach, figlio d’arte, dimostra di aver imparato la lezione di papà Ken riguardo ai temi da trattare e da che parte schierarsi, ma rivela anche buone doti ed idee registiche. Il film originariamente doveva essere un documentario, poi, come ha rivelato Loach, è stato trasformato in film per meglio veicolare la portata drammatica degli avvenimenti.
La storia è narrata dal punto di vista di Margareth Humphries (Emily Watson), l’assistente sociale che per prima ha scoperto la storia e ha cominciato una battaglia incredibile contro tutto e tutti per ricongiungere i bambini (ormai adulti) alle famiglie d’origine. Il film è tratto dalle memorie della Humphries, ma è evidente che scegliere un punto di vista emotivamente “esterno” alla vicenda aiuta a non far scadere il film in un tono ricattatorio nei confronti del pubblico e a mantenere un giusto e costante distacco, anche quando i fatti che vengono alla luce diventano sempre più orribili. David Wenham ed Hugo Weaving, entrambi bravissimi, interpretano due dei bambini deportati che si confrontano, ormai adulti , ognuno in maniera particolare, con il proprio dramma.
Jim Loach riesce a non cadere mai nelle trappole che una storia del genere pone, neanche quando la storia si fa più drammatica nella seconda parte, e si scopre degli abusi che i ragazzi subivano nel convento di Bindoon da parte dei frati. La protagonista, Emily Watson, ha dichiarato: “Mentre leggevo la sceneggiatura, mi sono dovuta fermare perché ero sopraffatta dall’emozione, pensando alle vicende di quei bambini. Quando una storia è vera, ha un fascino irresistibile.”
Il giusto mix di glamour (il nome “nobile”), ottima fattura e tema trattato, fanno di Oranges and Sunshine un buon candidato per la vittoria.