Kingsman - Il cerchio d'oro: Julianne Moore supercattiva e una "valanga" di umorismo british. La recensione
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Kingsman – Il cerchio d’oro: Julianne Moore supercattiva e una “valanga” di umorismo british. La recensione

Il sequel di Matthew Vaughn bissa il divertimento di Kingsman - Secret Service e si regala tanti comprimari di lusso: Jeff Bridges, Channing Tatum, Halle Berry e...Elton John!

Kingsman – Il cerchio d’oro: Julianne Moore supercattiva e una “valanga” di umorismo british. La recensione

Il sequel di Matthew Vaughn bissa il divertimento di Kingsman - Secret Service e si regala tanti comprimari di lusso: Jeff Bridges, Channing Tatum, Halle Berry e...Elton John!

Kingsman: Il Cerchio d'Oro

Eggsy (Taron Egerton), che si è ormai lasciato alle spalle gli eccessi da bad boy per abbracciare in pieno la classe e le buone maniere adatte a una spia britannica di alto livello, si ritrova nel bel mezzo di una situazione pazzesca: il quartier generale dei Kingsman, agenzia di intelligence internazionale, è stata colpito da un attacco mortale e il mondo è ormai sull’orlo del collasso. Per far fronte a un rischio planetario fuori portata, questi agenti segreti che vivono nel mito di Re Artù dovranno allearsi con gli Statesman, il loro corrispettivo americano…

Difficile trovare un cocktail più esplosivo e scatenato di umorismo britannico concretato in un solo film, avevano pensato in molti all’uscita del primo capitolo: Kingsman: Secret Service, tratto dalla miniserie a fumetti di Mark Millar e Dave Gibbons e strepitoso successo al box office mondiale con 400 milioni all’attivo, era la quintessenza di un approccio all’azione e allo spy movie davvero singolare, carico di divertimento e dalle pretese apparentemente bassissime.

Una fusione di ironia e servizi segreti che pareva prendere il meglio del cinema inglese più rozzo e in permesso premio (alla Guy Ritchie, per intenderci) e traghettarlo verso una parodia ingentilita, talmente a effetto, a livello di immaginario e di trovate grafiche, da poter prendere in giro James Bond sul suo stesso terreno da gioco senza sfigurare.

Lo stesso meccanismo si ripete agevolmente in Kingsman: Il cerchio d’oro, sequel del fortunato capostipite con dalla sua una dose altrettanto massiccia di improbabili gingilli tecnologici hi-tech, scatenata farsa dai tratti rigorosamente british e situazioni comiche in bilico tra freddure anglosassoni e derive sboccate, che sbracano addirittura verso degli sketch genitali. Senza farsi mancare, però, la citazione letterale di turno, vedi la scena con protagoniste una valanga e una funivia che fa il verso alla saga di 007 in maniera tanto irresistibile quanto inequivocabile.

In questo secondo capitolo c’è una supercriminale subdola e melliflua,  Poppy Adams, interpreta con eleganza corrosiva da Julianne Moore, che minaccia di sterminare l’umanità, ma la leggerezza e la freschezza dell’operazione restano inalterate, perché dopotutto l’aplomb degno della corte di Sua Maestà va ostentato in ogni occasione con la massima naturalezza, anche quando si prende un’icona britannica al massimo grado come Elton John e la si trasforma in marionetta da avanspettacolo, con tutte le conseguenze pirotecniche del caso.

Il parco giochi orchestrato dal regista Matthew Vaughn è perfettamente consapevole di muoversi in bilico sulla corda pazza della demistificazione, del fumetto, dello slancio da cartoon, e non può che essere un merito: l’autore di Kick-Ass va sul sicuro, diverte e si diverte, oltre a insistere furbescamente su un duello culturale mai usurato e dall’impatto garantito: americani contro inglesi, scotch contro whiskey, ma anche Jeff Brigdes contro Michael Gambon, per dire. Una dicotomia a tutto campo, a cominciare dai nomi delle bevande affibbiati ai personaggi e alle tante new entry del cast (lo stesso Bridges, ma anche Channing Tatum e Halle Berry, rispettivamente Champagne, Tequila e l’analcolica Ginger).

Il mentore Harry Hart di Colin Firth avrà pure perso la memoria, in Kingsman: Il cerchio d’oro, ma l’ossatura dell’operazione non viene meno perché sono i suoi modi, parafrasando il tormentone della saga, a definirla con precisione chirurgica: l’agilità della coreografia e della gag, la scaltrezza di pensiero e d’esecuzione, la piena fruibilità e godibilità dei tempi comici e delle sequenze più al fulmicotone.

Niente di nuovo sotto il sole o all’ombra della corte, né tantomeno qualcosa che sposti l’equilibrio sottile e già estremamente rodato del primo capitolo, ma un divertissement a cuor leggero che si manda giù con la soddisfazione immemore e il senso di appagamento da fine pasto con cui si butterebbe giù il miglior bicchiere di brandy.

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