Mektoub, My love: chi sono gli attori-rivelazione del nuovo film di Kechiche
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Mektoub, My love: chi sono gli attori-rivelazione del nuovo film di Kechiche

La nostra intervista a Ophélie Bau, Alexia Chardard, Lou Luttiau e Shaïn Boumedine: i giovani protagonisti di "Mektoub, My Love - Canto Uno", la nuova fatica del regista franco-tunisino dopo "La vita di Adele"

Mektoub, My love: chi sono gli attori-rivelazione del nuovo film di Kechiche

La nostra intervista a Ophélie Bau, Alexia Chardard, Lou Luttiau e Shaïn Boumedine: i giovani protagonisti di "Mektoub, My Love - Canto Uno", la nuova fatica del regista franco-tunisino dopo "La vita di Adele"

Dopo la presentazione in anteprima al Festival di Venezia nel settembre 2017, Mektoub, My Love – Canto Uno esce nei cinema italiani il 24 maggio 2018. Sotto la nostra intervista ai quattro giovanissimi interpreti che, con questo film, hanno dimostrato di avere una prorompente carica erotica e vitale in grado scalfire l’immaginario cinefilo un po’ come aveva già fatto Adèle Exarchopoulos con La vita di Adele.

Un racconto d’estate lungo più di tre ore in cui senti il sole scottarti la pelle, l’imbarazzo del primo bacio, il vuoto di un amore sfuggito di mano, l’esaltazione e la noia di un’infinita notte in discoteca che sembra morire e ripartire ad ogni canzone. È questo e molto altro Mektoub, My Love: il nuovo film-fiume del regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche ambientato in una cittadina del Sud del Francia inondata da una luce accecante che ubriaca di vita, energia e desiderio.

Come spesso accade nelle opere di Kechiche, i protagonisti sono dei giovani attori non-professionisti che si regalano totalmente a lui: autore come pochi in grado di riprendere i sentimenti in ebollizione dell’adolescenza, il regista ha chiesto ai suoi interpreti una dedizione totale con interminabili sessioni prove e innumerevoli ciak sul set. Nello specifico caso di Mektoub, My Love, per Ophélie Bau (25 anni), Alexia Chardard (20 anni), Lou Luttiau (22 anni) e Shaïn Boumedine (21 anni) i mesi di prove sono stati tre, mentre sette quelli di riprese. Il risultato è di una naturalezza e di una verità unica.

QUATTRO ATTORI E UNA (GRANDE) PRIMA VOLTA PER TUTTI

Per tutti voi Mektoub, My Love rappresenta il debutto al cinema. Prima di questo film avete avuto altre esperienze attoriali, magari a teatro o in qualche cortometraggio? Inoltre, avete frequentato delle scuole di cinema e teatro?
Lou Luttiau
(nel film Céline): «No, mai avuto esperienze di recitazione, né a cinema né a teatro. Questo è il mio primo film. Ho però fatto danza per diverso tempo». 

Alexia Chardar (nel film Charlotte): «Io ho fatto dei corsi di teatro per quattro anni e ho anche preso parte a qualche cortometraggio amatoriale».

Ophélie Bau (nel film Ophélie): «Io ho fatto solo un anno di teatro: la scuola sarebbe dovuta durare tre anni, ma non mi piaceva tanto e avevo deciso di fermarmi. Un mese dopo averla lasciata ho fatto il casting per Mektoub».

Shaïn Boumedine (nel film Amin): «Io non avevo fatto nessuna scuola di cinema o teatro, e neanche avevo mai recitato in film o spettacoli amatoriali. Questa è stata davvero la mia prima esperienza tout court come attore».

I PROVINI

Come siete stati coinvolti nel progetto?

Lou: «Tutto è nato da un provino che avevo fatto per un altro progetto: una serie Tv ambientata nel Sud della Francia per la quale cercavano delle comparse. La direttrice del casting di allora era poi la stessa che si è occupata del film di Kechiche: è attraverso lei che sono entrata in contatto con lui».

Ophélie e Shaïn: «Per noi uguale: anche noi avevamo fatto un provino per lavorare come comparse per quella stessa serie Tv di France 2 e poi la direttrice del casting ci ha richiamato per Mektoub, My Love. Più che un casting è stata una lunga sessione di lavoro durata diverse settimane in cui ci hanno chiesto di provare diverse scene più e più volte».

Alexia: «Io invece ho trovato un annuncio su Facebook dove si parlava genericamente di un “film con giovani protagonisti”; non era specificato da nessuna parte che si sarebbe trattato del nuovo film di Kechiche. A essere sincera, all’inizio pensavo fosse una bufala, poi l’annuncio è rimasto attivo per diverse settimane e allora ho risposto. Per altre tre settimane non ho saputo più nulla salvo poi essere chiamata il giorno del mio compleanno per fissarmi il provino: solo lì mi hanno detto che il regista sarebbe stato Abdellatif Kechiche».

Curiosità: che scene vi hanno fatto fare al provino?

Alexia: «Al primo provino non eravamo ancora con Kechiche, ma con la direttrice del casting che ci ha dato da fare una scena: non avevamo ancora un copione preciso, semplicemente ci ha fatto improvvisare un dialogo tra amiche parlando di ragazzi, di storie d’amore finite e così via».

Lou: «A me è stato richiesto di recitare una scena in cui “rubavo” il ragazzo di un’altra».

L’INCONTRO CON KECHICHE

Com’è stato il primo vero incontro con Kechiche?

Lou: «Confesso che all’inizio mi sono sentita un po’ soggezione, forse anche perché è stato un incontro a sorpresa: non sapevo che l’avrei incontrato in quel preciso momento. In realtà una volta che ci hanno presentato è stato tutto molto semplice ed è andato tutto liscio».

Alexia: «Il mio primo incontro con lui è avvenuto subito dopo il provino. All’inizio ero un po’ spaventata all’idea di incontrarlo da sola e pensavo “cosa mai gli potrò dire?”, poi in realtà è stato molto tranquillo. Non mi aspettavo che sarebbe stato così sorridente: mi ha fatto tante domande su di me e mi ha messo a mio agio».

Conoscevate già il cinema di Kechiche? Cosa vi piace del suo stile? Qual è il vostro film preferito di lui?

Alexia: «Amo il fatto che il suo sia un cinema puro, sensuale, naturale, senza alcun artificio. Il mio film preferito di Kechiche è Cous Cous che, tra l’altro, è stato girato a Sète come Mektoub e ha come protagonista Hafsia Herzi: un’attrice che ammiro tantissimo e che ritroviamo nel cast anche del nostro film. La sua presenza fa risuonare in Mektoub anche la storia di Cous Cous, è stato davvero bello averla con noi».

Lou: «Io non ho visto proprio tutti i film di Kechiche: mi mancano La schivata e È tutta colpa di Voltaire. Tra quelli che ho visto, il mio preferito è La venere nera: è stato quello che mi ha dato le emozioni più forti e più varie»

Shaïn: «Ammiravo Kechiche anche prima di recitare per lui. Quando poi sono stato scelto per Mektoub ho voluto recuperare subito i pochi film suoi che non avevo ancora visto: volevo essere all’altezza del ruolo».

LE LUNGHISSIME PROVE E LA COSTRUZIONE DEI PERSONAGGI

Sappiamo bene che Kechiche è un regista per il quale la fase di preparazione è importantissima e che fa fare moltissime prove. È stato così anche per voi?

Alexia: «Abbiamo fatto una serie infinita di prove basandoci su una prima versione della sceneggiatura e, in base a queste prove, apportavamo delle modifiche, anche sostanziali, allo script. Man mano che la fase di preparazione avanzava, Kechiche ci conosceva meglio e faceva in modo che certe nostre caratteristiche si riflettessero nei personaggi. Sul set provavamo tantissimo e facevamo tantissimi ciak affinché tutte le possibili sfumature di una scena fossero esplorate nel più minimo dettaglio. Tutto doveva essere assolutamente perfetto».

Shaïn: «Sì, Kechiche ha voluto costruire i nostri personaggi plasmandoli sulle nostre personalità e così ci ha fatto un sacco di domande personali per conoscersi, ci ha studiati, e in base a questo ha cambiato la sceneggiatura per avvicinarla alla nostra sensibilità».

Ophélie: «Kechiche non ci dava delle indicazioni troppo precise tipo “fai questo, fai quello”, ma ci incoraggiava ad agire di impulso, a essere ancora più noi stessi, ancora più veri. Questo seguendo però le tracce dettate dalla sceneggiatura».

Cosa avete in comune coi vostri personaggi e cosa invece vi differenzia da loro?

Lou: «Rispetto a Celine, be’, diciamo che non mi do così tanto da fare coi ragazzi; io sono un po’ più seria (ride, ndr). A livello di somiglianze, sento la sua stessa voglia di libertà».

Alexia: «Come Charlotte sono anch’io una persona molto sensibile e che si affeziona subito alle persone. La differenza rispetto a lei è nell’approccio coi ragazzi: io non bacerei mai uno 10 minuti dopo averlo incontrato; anzi, quando incontro un ragazzo all’inizio ne vedo quasi solo i difetti».

Ophélie: «Con il mio personaggio condivido diversi aspetti caratteriali ma non tutto. Ad esempio io non ho così tanta fiducia in me stessa, sono meno estroversa e non parlo così tanto».

Shaïn: «Il personaggio di Amin, inevitabilmente dato il lavoro fatto con Kechiche, mi assomiglia praticamente in tutto».

I dialoghi sono molto spontanei. Come avete lavorato per costruire questa naturalezza? Avevate seguito una traccia scritta o avete improvvisato?

Ophélie: «Avevamo dei dialoghi già scritti ma avevamo anche la libertà di fare delle variazioni; non eravamo assolutamente obbligati a seguirli alla lettera».

Shaïn: «Diciamo che Kechiche non ti dà delle direttive precise ma è molto chiaro ed esigente negli obiettivi da perseguire. È stato soprattutto il lavoro di Kechiche a portarci a questo livello di naturalezza: lui ci ha spinti a non avere paura delle telecamere, a far finta che non esistessero. La sua parola d’ordine è stata “vivete fino in fondo questa esperienza, siate liberi e divertitevi il più possibile».

Com’è stato rivedervi sullo schermo?

Shaïn: «La cosa strana è che, dopo qualche minuto che il film è iniziato, mi sono dimenticato di essere io sullo schermo e sono stato travolto dalla storia. Questo mi ha fatto capire che siamo riusciti a fare quello che ci eravamo prefissati».

Ophélie: «Mi ha fatto piacere vedermi sullo schermo: ho avuto il sorriso stampato in faccia dall’inizio alla fine. Mi è piaciuto molto il messaggio che dà il film: un inno alla libertà, all’amore».

LA CITTA’ DI SETE

Nel film l’assolata cittadina di Sète, nel Sud della Francia, è un po’, come si suol dire, un’altra protagonista della storia. Come siete “entrati” in quei luoghi?

Alexia: «Io sono di Parigi e non conoscevo Sète. Anche se non ho avuto tantissimo tempo, il processo di ambientazione è avvenuto naturalmente: abbiamo girato in diversi luoghi della città e mentre preparavamo le scene ho avuto il tempo per scoprirne un po’ l’anima e conoscerne i dettagli».

Ophélie, Shaïn e Lou: «Noi conosciamo molto bene questi luoghi perché abitiamo proprio tra Montpellier e Sète».

GLI ANNI ’90

Il film si svolge negli anni ’90. Voi eravate dei bambini in quel periodo ma, per quello che avete potuto capire partecipando al film, quali sono state le principali differenze nell’essere giovani allora rispetto a oggi?

Shaïn: «Negli anni ’90, forse, c’erano meno pregiudizi e forse c’era più libertà. Non voglio dire che fosse un periodo facile, anzi: c’erano anche allora delle forti tensioni sociali e c’era lo spettro della guerra come anche il film ci ricorda (il riferimento è soprattutto alla prima guerra del Golfo, ndr) . Però ho l’impressione che allora fosse un po’ più facile vivere: era più semplice essere liberi senza essere giudicati. Ad esempio penso che negli anni ’90 il film non avrebbe ricevuto le critiche di sessismo fatte durante il Festival di Venezia perché allora c’era uno sguardo diverso. E poi penso alla scena in discoteca: oggi quando sei nei club tutti si fanno selfie in continuazione e postano foto sui social media. Alla fine i ragazzi sono distanti tra loro pur condividendo lo stesso luogo».

Ophélie: «Esatto, allora si viveva davvero il momento senza per forza avere il bisogno di fotografarlo: è una sensazione che ho provato attraverso il mio personaggio e che cerco di replicare anche nella mia vita oggi provando a essere sempre presente a me stessa».

È stato facile avvicinarvi a quegli anni che non avete vissuto? Come avete lavorato in questo senso? Vi siete documentati guardando film o altro?

Shaïn: «Sicuramente la musica degli anni ’90 è stata molto utile per entrare in quell’epoca: abbiamo ascoltato tantissime canzone di quegli anni. E poi abbiamo visto diversi film. Avevamo voglia di vivere quell’epoca perché l’apprezziamo molto».

Ophélie: « C’è poi da dire che il film racconta una storia universale, atemporale. Anche il nostro modo di parlare non è legato a un’epoca così precisa».

LA SCENA DEL PARTO

Una delle sequenze più forti e simboliche del film è quella della nascita di DUE agnellinI ripresa praticamente in tempo reale e quasi senza stacchi di montaggio.

Shaïn: «Per girare quella scena sono arrivato nel recinto delle pecore verso mezzogiorno e sono rimasto letteralmente in attesa fino a notte inoltrata: ci sono cose che puoi prevedere e altre che non puoi prevedere, non potevamo sapere quando sarebbe nato. Così mi sono seduto e ho aspettato fino alla nascita: uno spettacolo che può solo essere contemplato. È stato impressionante. Tutti erano molto calmi, avevo le telecamere addosso, ma mi sembrava di non avere nulla intorno, di essere lì da solo con la mia macchina fotografica. È stato commovente vedere l’agnellino appena nato venire verso di me: girare questo film è stata più un’esperienza di vita che un’esperienza di recitazione. Per me questo è il cinema: è vita».

Tu, Ophélie, sei quella che ha dovuto recitare più a stretto contatto con gli animali, e spesso si dice che recitare con gli animali sia una delle cose più difficili per un attore. Come hai fatto a essere così naturale e disinvolta?

Ophélie: «Semplicemente prima delle riprese ho vissuto 24 ore su 24, sette giorni su sette, per quasi due mesi, nella stessa fattoria che si vede nel film. A telecamere spente ho voluto capire e sperimentare veramente quel tipo di vita: mi è stato utilissimo per abituarmi alla presenza delle pecore e avere quegli automatismi che danno verità alle mie azioni».

UNO SGUARDO SESSISTA?

Al Festival di Venezia, dove il film è stato presentato in anteprima, Kechiche èstato accusato di “male gaze”, di uno sguardo sessista e voyeristico rispetto ai corpi femminili, indugiando sulle nudità e le forme delle protagoniste. Voi vi siete sentite “usate” in questo senso?

Ophélie: «I giornalisti che hanno lanciato queste critiche non hanno capito il messaggio del film: sono liberi di credere quello che vogliono, ma non hanno colto il senso della storia. Io dovrei essere la persona più direttamente interessata a quello sguardo sessista e voyeuristico, ma non ho percepito nulla di tutto ciò. Né durante le riprese, né rivendendomi sul grande schermo. Con mia grande sorpresa, girare le scene di nudo non è stato per nulla difficile, e questo proprio grazie a Kechiche: lui si è preoccupato che non provassi imbarazzo e così ha fatto un lungo lavoro preparatorio. Poi, ha voluto che per quelle sequenze, sul set, fossi circondata solo dalle donne della troupe. Ha fatto di tutto per evitare il mio imbarazzo: abbiamo avuto lunghe conversazioni e mi ha aiutato ad abbattere le mie barriere, a farmi sentire libera: Ed è proprio questo il messaggio del film: un inno alla vita, alla libertà, all’amore. Anche negli altri suoi film, come in La vita di Adele, c’erano queste scene magnifiche cariche di desiderio e sensualità».

Alexia: «Sono critiche infondate. Il mio personaggio è forse quello meno esposto sotto questo punto di vista, perché Charlotte è una ragazza abbastanza timida e diversa dalla altre del gruppo, si mette poco in vista. Però anche se fossi stata nei panni di Ophélie, non mi sarei sentita a disagio. Io parto dal principio che lo strumento di un attore è il proprio corpo: come attori dobbiamo avere l’abitudine a mettere a nudo il nostro corpo, a metterlo al centro dell’attenzione: questo è il cinema, così come la danza. Non mi disturba per nulla lo sguardo di Kechiche, proprio per nulla».

Lou: «Personalmente non sono per nulla d’accordo con quella critica. Ma proprio per niente. Forse avendo visto il film solo una volta è difficile darne un giudizio oggettivo, è un’opera che richiede più visioni per essere apprezzata nella sua pienezza».

Shaïn: «Io ci tengo a rispondere come uomo a queste accuse anche perché Kachiche ha usato il mio sguardo, il mio punto di vista, per raccontare la storia del film: le ragazze sono spesso inquadrate come le guardo io. Proprio per questo quelle critiche mi hanno toccato, mi hanno fatto male. E a quelle critiche rispondo così: Amin adora la vita, i corpi, le donne. Lo sguardo di Kechiche è semplicemente una valorizzazione della loro bellezza».

IL SEQUEL

Come si evince dal titolo completo, Mektoub, My love: Canto Uno è solo il primo capitolo della storia di Amin. Cosa ci puoi dire del seguito?

Shaïn: «Al momento posso solo dire che ci sarà un secondo episodio. Abbiamo girato le due parti contemporaneamente ma ora è difficile dire come sarà montato e come si svilupperà il canto due».

Shaïn Boumedine (Amin) e Ophélie Bau (Ophélie)

Lou Luttiau (Céline) e Alexia Chardard (Charlotte)

Leggi anche la recensione del film.

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