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Da un certo punto di vista, Pacific Rim è un punto di non ritorno per – una fetta consistente del – cinema moderno. Di quale fetta stiamo parlando non c’è neanche bisogno di dirlo: in questi anni in cui la polarizzazione tra cinema d’autore e blockbuster da centinaia di milioni di dollari si è fatta sempre più marcata, e un film che parla di robot contro mostri sta tenacemente dal lato entertainment della barricata. Per capire il perché sia un punto di non ritorno, invece, l’ideale sarebbe vederlo, magari al cinema, magari in una sala IMAX: Pacific Rim è, senza mezzi termini, lo spettacolo più grosso che sia mai passato in sala dai tempi dei fratelli Lumiére. Difficile pensare di fare di meglio in termini di impatto visivo, a meno di non dare inizio a una vera e propria gara a, ehm, chi ce l’ha più lungo. Il problema (per gli altri), e il motivo per cui Pacific Rim è il blockbuster di quest’estate, è che le dimensioni bisogna saperle gestire, e pochi al mondo hanno la padronanza della materia di Guillermo del Toro. Pacific Rim è un punto di non ritorno, quindi, ma anche, per il regista messicano, un punto d’arrivo, il perfezionamento del lato più ludico e divertente della sua poetica.
Anche la nostra Terra è un punto d’arrivo, nel film, il luogo scelto dai Kaiju per portare morte e devastazione; il mezzo è un varco dimensionale apertosi sul fondo dell’oceano, il motivo lo lasciamo da scoprire a voi, ma sappiate che c’è: per quanto parco di dettagli e concentrato soprattutto sullo spettacolo, Pacific Rim prova anche a raccontare una storia, o quantomeno a dare delle vaghe motivazioni a un branco di mostri votati alla distruzione – e di conseguenza a chi rischia la propria vita per respingerli. Poi certo, se quel che cercate sono il dramma e l’approfondimento psicologico degli anime giapponesi a base di robot (Evangelion, ma non solo) rimarrete delusi: se l’estetica è al 90% nipponica, la sostanza è americana al 100%, con tutti i pregi e i difetti del caso. Non che manchino protagonisti a cui – volendo – affezionarsi, solo che ricalcano senza deviare tutti gli stereotipi della sci-fi bellica degli ultimi sessant’anni: c’è l’eroe decaduto in cerca di riscatto (Raleigh/Charlie Hunnam, biondo e muscoloso), il generalissimo che gli fa da mentore e da sprone (Idris Elba, il più sfaccettato tra i protagonisti), la novellina da svezzare (Rinko Kikuchi), il collega-rivale in stile Iceman (Robert Kazinsky); volendo è il modello-Top Gun, solo con robot alti come palazzi al posto degli aerei. C’è giusto un subplot dedicato a una coppia di scienziati (Charlie Day e Burn Gorman) ad ammiccare a certo cinema d’avventura (su tutti Jurassic Park), ma sono dettagli: il centro di gravità narrativo di Pacific Rim sta a metà tra Starship Troopers e Battlestar Galactica, solo con molto meno tempo dedicato ai personaggi e molto di più alle battaglie tra Kaiju e Jaeger.
Ed è inutile girarci intorno: l’interesse maggiore per il kolossal di del Toro sta tutto qui, nello spettacolo di vedere robot alti come palazzi che prendono a pugni dinosauri alieni grossi altrettanto e nel dimenticarsi che si tratta di CGI – che si tratta solo di un film, anche se spesso assomiglia più al sogno (neanche troppo) segreto di chiunque abbia passato l’infanzia incollato alla tv a drogarsi di Mazinga, Goldrake e I-Zenborg. Diciamolo chiaramente: potete scordarvi i vari Transformers e Battleship, dopo aver visto Hong Kong devastata da un lucertolone alto quaranta metri niente sarà più lo stesso, per voi e per chiunque si voglia cimentare con il genere (stiamo parlando di te, Godzilla). Del Toro ha mano ferma nel riprendere gli scontri, e amore per la materia, e fantasia a sufficienza da rendere ogni duello più spettacolare del precedente, in una progressione che sembra esaurire tutte le cartucce dopo cinque minuti e culmina invece in uno dei finali più mozzafiato degli ultimi anni. Il fatto che il film si svolga in gran parte di notte e/o in ambiente acquatico aiuta certamente l’integrazione tra CGI, attori e set, e di conseguenza la sospensione dell’incredulità, ma a differenza di altre recenti opere di genere – e qui arriviamo al Godzilla di Emmerich – si ha l’impressione di una scelta estetica voluta più che di una scorciatoia furbetta. Né la scelta di rifarsi a un immaginario orientale circoscrive il pubblico di Pacific Rim: ce n’è un po’ per tutti, dai fumettari amanti di Frank Miller (The Big Guy and Rusty the Boy Robot) agli “Uraniani” di ferro, passando, inutile negarlo, per chi al cinema preferisce da anni i videogiochi – l’architettura trasfigurata delle grandi metropoli mondiali devastate dai Kaiju sembra uscita dai minuti iniziali di Mass Effect 3, o persino dalla più recente iterazione di Devil May Cry.
In definitiva è semplicissimo consigliare (o sconsigliare) Pacific Rim: è un film per nerd fatto da un nerd, e non nell’accezione più nostalgica e retrò del termine. È un film che si rivolge alla comunità nerd di oggi, ammesso che esista, e se vi riconoscete il consiglio è di non esitare più e prenotare quel biglietto per il cinema: in termini di puro spettacolo non c’è niente a livello di Pacific Rim nel cinema di ieri e di oggi – e anche chi arriverà domani dovrà sforzarsi parecchio per stare al passo.
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