Nonostante talvolta i film catastrofici rispondano alle leggi dei B-movie e vengano spesso realizzati con un budget relativamente limitato che ne condiziona i risultati, essi continuano ad esercitare un certo fascino su quel pubblico amante dell’evento apocalittico, della calamità naturale, del cataclisma. La ricetta di un disaster movie include, in genere, personaggi che dimenticheremo a distanza di poche ore dalla visione e grandi effetti speciali atti a stupire lo spettatore e a far passare in secondo piano i buchi di sceneggiatura.
I tornado non sono molto sfruttati dal cinema, tanto che, se ci pensate bene, uno dei pochi esempi che vengono in mente risale al lontano 1996 con Twister, scritto da Michael Crichton e diretto da Jan DeBont. Prima di Into the Storm, che lo scorso weekend occupava il decimo posto al box office americano e che è ora approdato anche in Italia, c’è stato solo un altro titolo recente dedicato alle trombe d’aria: il trash Sharknado (diventato rapidamente un cult), trasmesso lo scorso anno dal canale televisivo Syfy, che metteva insieme in modo improbabile squali e uragani. Il film di Steven Quale (regista di un altro popcorn movie, Final Destination 5) ha un approccio decisamente diverso e racconta in modo realistico la storia di un gruppo di persone in fuga da una serie di tornado devastanti che si sono abbattuti sull’Oklahoma. Protagonista è il padre di famiglia Gary, interpretato dall’attore britannico Richard Armitage, il quale si unisce a un team di storm chasers che stanno cercando di riprendere l’evento, cercando al contempo di salvare la pelle al figlio Donnie (Max Deacon). Nel cast troviamo anche la Sarah Wayne Callies di The Walking Dead. Into the storm, che è girato con lo stile del found footage, gode di effetti speciali magnifici e ha un paio di scene che vi faranno restare a bocca aperta. Abbiamo incontrato, in occasione del junket londinese del film, Richard Armitage, che a Dicembre rivedremo al cinema nei panni di Thorin Scudodiquercia nel capitolo conclusivo de Lo Hobbit.
Best Movie: Sappiamo che quando ti prepari per un ruolo scrivi una lunga biografia del tuo personaggio. Ci racconti come hai lavorato su questo film?
Richard Armitage: «In questo caso avevo dei dettagli sul passato di Gary che erano già insiti nella sceneggiatura, perciò sono partito da lì. Ma poiché la storia si concentra sul suo comportamento minuto dopo minuto, le possibilità di approfondimento per me erano abbastanza scarse. Ciò che mi ha intrigato del ruolo era il fatto che non fossi solo io in quanto attore a non sapere cosa aspettarmi, ma anche il protagonista stesso. Si trattava di un tema intrigante che mi ha divertito molto».
BM: Che cosa ti piaceva della tua parte?
RA: «Gary è l’uomo di tutti i giorni che si ritrova a dover affrontare un evento molto più grande di lui e mi piaceva il fatto che questa esperienza lo facesse diventare una specie di eroe, anche se solo per un giorno. Il film si svolge infatti nel corso di sei ore. Gary è vicepreside di un liceo ed insegnante di inglese. Considerate le circostanze in cui è ambientata la vicenda, ho pensato che sarebbe stato ideale se fosse anche un uomo allenato, perciò nel mio lavoro sulla sua biografia ho aggiunto che era anche un allenatore di football».
BM: Hai mai vissuto esperienze simili alla sua?
RA: «Durante l’uragano Sandy, nel 2012, mi trovavo a New York, ma sono andato via immediatamente e mi sono diretto fuori, verso Upstate. Poi, però, ho deciso di tornare in città per vedere metà Manhattan immersa nell’oscurità, almeno dalla 63esima fino in giù. Era interessante vedere come la comunità si fosse riunita in un momento così difficile».
BM: Eri attratto dall’idea di trovarti nel mezzo del cataclisma?
RA: «Devo ammettere che sono stato tentato di restare, ma ho preferito andarmene perché quello era il consiglio delle squadre di emergenza. Se rimani, compi una scelta egoistica e sciocca, perché metti potenzialmente a rischio la vita di altre persone che poi dovranno venire a salvarti».
BM: So che sul set siete stati aiutati da apposite macchine del vento che servivano a ricreare gli effetti dell’uragano.
RA: «Siamo stati molto fortunati, perché la produzione ha fatto dei grandi sforzi per ricreare l’effetto di un vero uragano e farci capire il tipo di emozione e impatto. Questo ci ha aiutati molto nella nostra performance. Ma capire il diagramma della storia è stato complicato: trovare le sfumature giuste da un punto di vista recitativo, quando si ha a che fare con uno e poi con cinque tornado, per concludere con uno ancora più grande, è stato abbastanza complesso».
BM:Il tornado è uno dei protagonisti del film ed è interessante come gli spettatori, così come alcuni dei personaggi, ne siano spaventati ma anche affascinati nello stesso momento.
RA: «Penso che si tratti di un fenomeno molto naturale. Capita spesso che la gente, invece di fuggire, sia quasi galvanizzata dalla sua terrificante bellezza. Questo è il motivo per cui molti vanno anche a filmarlo. Secondo me è perché non riesci quasi a credere a ciò che vedi».
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