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Star Wars: L’ascesa di Skywalker, la recensione

Arriva oggi nelle nostre sale l'ultimo capitolo della nuova trilogia disneyana di Star Wars, diretto da J.J. Abrams e alle prese con la sfida titanica di dare un epilogo a una saga iniziata oltre quarant'anni fa. Ecco le nostre impressioni in anteprima, rigorosamente senza spoiler

Star Wars: L’ascesa di Skywalker, la recensione

Arriva oggi nelle nostre sale l'ultimo capitolo della nuova trilogia disneyana di Star Wars, diretto da J.J. Abrams e alle prese con la sfida titanica di dare un epilogo a una saga iniziata oltre quarant'anni fa. Ecco le nostre impressioni in anteprima, rigorosamente senza spoiler

Star Wars: L'ascesa di Skywalker
PANORAMICA
Regia (3.5)
Interpretazioni (4)
Sceneggiatura (3)
Fotografia (4)
Montaggio (3)
Colonna sonora (4)

Star Wars: L’ascesa di Skywalker aveva l’arduo compito di potare a compimento la terza trilogia della saga, con il regista J.J. Abrams chiamato a scrivere la parola fine sull’epopea degli Skywalker dopo la parentesi di Rian Johnson e de Gli ultimi Jedi, che aveva nettamente deluso molti fan e generato reazioni estremamente polarizzate. Si è dunque tornati ad affidare le sorti di dell’apprendista Jedi Rey (Daisy Ridley) e del dilaniato Kylo Ren (Adam Driver) a quel cineasta che nel 2015, con Il risveglio della forza, aveva saputo equilibrare il fan service vecchia scuola e le esigenze di novità della nuova trilogia disneyana, con tutto il suo portato di personaggi e intuizioni.

La chiusura del cerchio portava con sé una notevole dose di responsabilità e altrettanti noti da sciogliere, ma la sensazione, al cospetto de Star Wars: L’ascesa di Skywalker, è che ci sia saputi confrontare in maniera disinvolta col peso delle aspettative, proseguendo con coerenza quell’arco narrativo inaugurato quattro anni fa tra hype monumentale e forti ripercussioni nell’immaginario degli “starwarsiani” doc.

Abrams, nel tirare le fila e affiancato in sede di sceneggiatura da Chris Terrio, neofita dell’universo creato da George Lucas, ribadisce le sue doti quasi da alchimista nell’equilibrare elementi e contrasti, facendo convivere vecchio e nuovo con sagacia e sapienza: la persona giusta, senza dubbio, per rimanere più in scia al lascito del creatore primigenio e ammortizzare la cupezza poco rassicurante del film precedente, che al netto delle ire degli affezionati aveva però un’innegabile e attualissima vitalità.

L’ascesa di Skywalker non cancella Gli ultimi Jedi, sia chiaro, ma ne canalizza la portata verso un epilogo più devoto all’ortodossia di Star Wars e allo stesso tempo notevolmente focalizzato sullo sgomento dei suoi personaggi, che qui assume dei tratti addirittura generazionali: Rey e Kylo Ren diventano due facce della stessa medaglia sempre più ombrose e cariche di chiaroscuri fatali, di contrasti profondi che li rendono paradossalmente vicinissimi e inscindibili, con una simbiosi tra lato oscuro e lato chiaro della Forza portato qui al massimo grado di compimento ma anche di sconcerto, in termini tanto di colpi di scena quanto di evoluzioni psicologiche (il talento di Driver è ormai noto, ma a stupire è anche la maturazione espressiva della Ridley).

In tal senso, visto e considerato che tale sentimento si estende un po’ a tutti gli artefici della Resistenza, a cominciare dal Poe Dameron di Oscar Isaac, L’ascesa di Skywalker si configura probabilmente come il miglior esito della nuova trilogia, per portata emotiva e risonanza spettacolare. Al suo interno, grazie soprattutto all’evoluzione di Rey, ci si ritrova a osservare sgomenti le costellazioni del passato, interrogando a più riprese la voce delle precedenti generazioni per giungere a una consapevolezza del proprio posto nel mondo in un presente che ha azzerato confini e certezze.

Ed è un dialogo inevitabilmente lacerato, carico di interrogativi sofferti, ma anche l’approdo necessario per cessare un’epica lunga oltre quarant’anni e far coesistere passato e presente in maniera stimolante e propulsiva, con contraccolpi e sussulti capace di spingere la nostalgia per racconto popolare che ha segnato le vite di molti, tramandandosi di generazione in generazione, verso un crepuscolo che accolga dentro di sé un potenziale impatto su spettatori vecchi e nuovi.

L’ascesa di Skywalker, forte di queste prerogative, si dunque fa scudo di una magniloquenza spettacolare solo sulla carta tiepida e rassicurante. Dal punto di vista visivo regala alcuni degli indiscutibili apici del nuovo trittico mentre, al netto delle sbandate deliberatamente comiche e quasi camp, probabilmente inevitabili ma non sempre legittimate, l’altro suo lampante punto di forza è la gestione di una coralità inevitabilmente sovraccarica, con qualche minima ma studiata new entry, dall’ingegnere Babu Frik alla Zorii Bliss di Keri Russell passando per il generale Pryde di Richard E. Grant, leader dell’esercito del Primo Ordine.

Un senso dell’avventura capace di accogliere dentro di sé anche le sorti di Finn (John Boyega), Chewbecca (Joonas Suotamo), Leia (la compianta Carrie Fisher, riproposta attraverso il processo del rotoscoping) e il rientrante Lando Calrissian (Billy Dee Williams), senza dimenticare nemmeno R2-D2 e C-3PO (Anthony Daniels) e soprattutto il malvagio Imperatore Palpatine (Ian McDiarmid), più che mai ago della bilancia di questa resa dei conti assediata da fantasmi vicini e lontani.

Il nodo cruciale de L’ascesa di Skywalker, in fondo, è proprio questa componente spettrale ed ecloplasmatica mai così marcata, questo suo tentativo commosso e e a tratti un po’ stordito e sopraffatto di farsi carico del legame spezzato ma inscindibile tra ciò che era e ciò che fu, con i destini dei vecchi eroi pronti a ricadere su quelli dei nuovi e a fare da sottofondo un evanescente senso di inadeguatezza dei millennials di turno. Con il bisogno, allo stesso tempo, catturare e incanalare la Forza nel tentativo di farla scorrere con prepotenza una volta di più, anche al cospetto di quello che, per il momento (ma solo per il momento), è l’ultimo, cupissimo sole ad aleggiare sulla galassia lontana lontana.

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