In una gigantesca multisala americana la luce subisce un improvviso calo di corrente. Passata l’oscurità, restano soltanto un mucchio di vestiti sparsi al suolo: dove sono finiti tutti? È quel che si chiede una maschera del cinema (John Leguizamo), misteriosamente rimasta illesa. Nell’edificio non c’è più nessuno, e fuori non va molto meglio.
Inizia così Vanishing on 7th street, il nuovo film di Brad Anderson (L’uomo senza sonno, Session 9) presentato in questi giorni al Torino Film Festival.
Specializzato nella creazione di atmosfere sottilmente minacciose (il manicomio di Session 9, il treno che corre in mezzo alle pianure gelate di Transsiberian) e personaggi ambigui, Anderson punta questa volta su un contesto che sembra uscito dall’immaginazione di Rod Serling, lo storico papà di Twilight Zone.
E proprio sul concetto di “twilight”, ovvero il crepuscolo, una zona intermedia tra buio e luce, si gioca interamente la suspance di Vanishing on 7th Street. I 4 protagonisti (tra cui l’ex Anakin Skywalker Hayden Christensen), superstiti della misteriosa ondata di oscurità, sono infatti intrappolati in un bar. Le giornate sono sempre più brevi e le notti sempre più lunghe: il sole sorge tardi e tramonta prestissimo. E appena fuori dalla porta, dove le lampadine del locale non arrivano, ombre che hanno sembianze antropomorfe sono pronte ad inghiottirli.
La storia, dopo il fulminante esordio, si trasforma quasi in un dramma da camera, in cui i superstiti si confrontano per cercare di capire cosa stia succedendo al mondo intero.
Poca azione, insomma, barattata in favore di una costruzione avvolgente e progressiva dell’atmosfera claustrofobica. L’oscurità, invandendo lo schermo, invade la sala stessa in cui si guarda il film, creando un affascinante ponte meta-cinematografico tra realtà e fiction.
Il film sarà distribuito in Italia da One Movie (consulta il listino 2011).
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