X-Men: Giorni di un futuro passato, il cinecomic sci-fi di Bryan Singer non sbaglia un colpo. La nostra recensione
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X-Men: Giorni di un futuro passato, il cinecomic sci-fi di Bryan Singer non sbaglia un colpo. La nostra recensione

L'atteso sequel mutante mantiene le promesse della vigilia e si laurea a pieno titolo come miglior film dell'intera saga

X-Men: Giorni di un futuro passato, il cinecomic sci-fi di Bryan Singer non sbaglia un colpo. La nostra recensione

L'atteso sequel mutante mantiene le promesse della vigilia e si laurea a pieno titolo come miglior film dell'intera saga

Era il film che doveva sconvolgere l’universo cinematografico degli X-Men. E ha mantenuto quello che prometteva, pur partendo da premesse pericolose. Viaggi indietro nel tempo per salvare il futuro e spietati robot assassini: la mente non può che correre veloce ai Terminator. Ma in X-Men: Giorni di un futuro passato, la cornice da sci-fi classico, un futuro distopico con l’umanità intera in balia di cyborg fuori controllo, fa da perfetto contorno al quadro cinecomic, in cui le regole auree Marvel di azione, ironia e rimandi ammiccanti a episodi o saghe precedenti vengono rispettati e finalmente adattati allo spirito mutante. Perché se da una parte Quicksilver è un perfetto e irresistibile mattatore comico, ruolo inedito negli X-Movie, dall’altra il futuro che ci viene mostrato è una lotta cruenta per la sopravvivenza, con toni scuri e adulti (per gli standard di un cinecomic) coerenti con l’estetica X-Men.

In un 2023 senza speranza, i mutanti superstiti si riuniscono attorno al redivivo Charles Xavier (morto e apparentemente risorto in X-Men: Conflitto finale, tornato in grande stile dopo i titoli di coda di Wolverine – L’immortale) e a Magneto. L’unica soluzione per sconfiggere le Sentinelle, imbattibili robot programmati per stanare i mutanti, adeguarsi ai loro poteri ed eliminarli, è bloccarne lo sviluppo da parte del governo Nixon nel ’73. Qualcuno deve impedire a Mystica di assassinare Bolivar Trask, creatore del rilevatore di mutanti e dei letali robot. L’unico in grado di sopportare il viaggio premio indietro nel tempo è Wolverine, non il più diplomatico, né il miglior stratega. Quello che Logan ritrova nel passato, a parte il cattivo gusto nel vestire e i materassi ad acqua, è un mondo che, 10 anni dopo X-Men: L’inizio, è precipitato. Xavier non è riuscito a sopportare la coscrizione degli allievi della sua scuola per mutanti, spediti in massa in Vietnam, ed è perfino arrivato a rifiutare il suo potere. Magneto, accusato dell’assassinio di Kennedy, è rinchiuso in un bunker di cemento e vetro sotto il pentagono. Mystica è una ronin vagabonda, confusa e arrabbiata, ancora incerta sulla sua identità e in cerca di vendetta per i crudeli esperimenti sui portatori di gene X compiuti dalle industrie Trask.

L’arrivo nel 1973, con l’aiuto non secondario del nudo di spalle di Hugh Jackman per aiutare lo spettatore a superare lo shock temporale, fa virare con naturalezza i toni del film dalla cupa fantascienza al seppia del thriller fanta-politico con venature action. Se non c’è tutto, in questo X-Men, c’è comunque molto. Ed è coeso, avvincente e serrato. Non dimenticando di lasciare il giusto spazio ai malati di fantascienza e alle teorie sul viaggio nel tempo, che portano anche a riflessioni meno immediate. Wolverine, nonostante sia il perno temporale tra le due realtà (nel caso in cui le modifiche sul passato dovessero cambiare il futuro sarebbe il solo a ricordarsene), è diverso dal tipico eroe sci-fi: in realtà è inerme, semplice innesco prima e testimone poi di eventi che sfuggono alla sua volontà. Perché se è vero che il destino non è immutabile, a cambiare la Storia «onda dopo onda» sono le scelte delle persone.

Nell’era dei cinecomic pare superfluo ricordarlo, ma mai dare nulla per scontato: non uscite dal cinema fino alla fine dei titoli di coda!

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