Un posto tranquillo fa la cosa più attuale e al contempo la più difficile, in un’epoca in cui la polarizzazione tra sale e streaming TV coincide sempre di più con quella tra messa in scena e storytelling: racconta mostrando, senza far parlare i personaggi né usare la scappatoia della voce fuori campo. Isola un’idea e un pezzo di mondo piccolissimo e poi lascia accadere gli eventi. In questo senso il film è addirittura programmatico, perché la premessa consiste in un’Apocalisse di origine ignota che riduce i pochi superstiti in balia di creature assassine sensibili al rumore, e quindi li costringe a vivere nel silenzio più assoluto.
Un silenzio così centrale nel dispositivo filmico che, vedrete, pare chiedere perfino la partecipazione dello spettatore.
L’idea in sé è davvero vecchia come il mondo, i déjà vu spielberghiani da La Guerra dei mondi o Jurassic Park si sprecano, e l’ambientazione – una fattoria circondata da campi coltivati e foreste -, unita all’approccio high-concept, fanno sembrare il film una crasi di The Village e Signs, ovvero uno Shyamalan apocrifo.
Eppure un pezzo enorme dello spettacolo cinematografico resta la matematica della suspense, e John Krasinski (protagonista di 13 Hours, alla seconda regia) la conosce bene: non solo mette nel film una donna che aspetta un figlio (interpretata dalla moglie Emily Blunt) e una bambina sordomuta, ma imbocca tutti gli svincoli che l’ottimo set-up gli consente, creando un groviglio di sentimenti, inquietudini e tentennamenti familiari che sarebbero gli stessi in un dramma indipendente, ma che qui vengono amplificati a dismisura dal perenne rischio di lasciarci le penne e al contempo compressi dall’impossibilità di esprimerli a parole.
In definitiva Un posto tranquillo dimostra che quando il cinema medio e commerciale è capace di reinventarsi con intelligenza, il suo posto in sala può ancora trovarlo. C’è però bisogno di una forma particolare di intelligenza creativa, un certo fiuto per i meccanismi elementari della curiosità, il talento per dispiegarli in una trappola spettacolare. È la strada opposta a quella dell’autorialità pura, un tipo diverso di avanguardia: invece di smontare i meccanismi del cinema pop, né fa monumenti. John Krasinski ha fatto un monumento ai monster movie d’assedio eliminando il sonoro. Non troppo diversamente, Fede Alvarez ne aveva fatto uno al thriller da appartamento obbligando il killer alla cecità, con Man in the Dark.
Mi piace: un’ora e mezza di suspense “taglia gambe”, se amate io genere lo adorerete
Non mi piace: originalità ai minimi termini: quasi tutto ricorda altro.
Consigliato a chi: cerca ancora in sala buon cinema di genere: regie solide, emozioni forti
Voto: 4 su 5
Foto: © 20th Century Fox
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