Harley Quinn mena come un fabbro, ma fondamentalmente è una ragazza. E, come ogni girl del pianeta che si rispetti, quando viene piantata dal fidanzato, annega i propri dolori guardando la tv sul divano tra montagne di gelato o va alla ricerca di altro comfort food compensatorio, come i mitologici panini alle uova col bacon di Sal.
Gratificazioni del palato che servono a tamponare i rimpianti dei bei tempi andati con Puddin’ (il nomignolo del Joker) alternati ai momenti catartici in cui distruggere tutto quello che la fa pensare a lui e alle serate superalcoliche in cui perdersi nell’oblio e concedersi anche qualche rissa liberatoria.
Potrebbe continuare così indisturbato il vivace tran tran della criminale con i codini bicolor, se non fosse che, da una parte il numero delle persone vittima dei suoi violenti dispetti è cresciuto esponenzialmente, dall’altra l’immunità goduta in quanto fidanzata del Pagliaccio criminale di Gotham ormai è scaduta. Esaurito il bonus, quindi, Harley è diventata un bersaglio pubblico, inseguita indifferentemente da poliziotti e criminali, e in particolare dal più cattivo di questi ultimi, il sadico Maschera Nera, interpretato da un Ewan McGregor agilmente calato nei panni sgradevoli di un boss il cui braccio destro si diverte a torturare le vittime di turno a suo comando. Sorte che potrebbe toccare anche alla ladruncola Cassandra Cain, ragazzina che si è impossessata di un oggetto agognato dal villain e il cui destino – per motivi totalmente diversi – sta a cuore a ognuna delle protagoniste della storia.
Meglio non raccontare altro sulla trama, perché tante sono le sorprese che – all’insegna dell’intrattenimento spinto e Rated R – la regista Cathy Yan e il cast hanno in serbo per il pubblico. Il dettaglio sulle torture ci ricorda non solo che siamo in ambito DC, quindi con toni adulti e lontanissimi dai dettami Disney/Marvel, ma anche a farci presente che ci troviamo dalle parti del cinema di Tarantino, smaccatamente citato già a partire dall’intro cartoonesca in stile Kill Bill sull’infanzia e la gioventù della un tempo Harleen Frances Quinzel.
Non è un mistero, tra l’altro, che la Yan abbia scelto come titolo provvisorio del film Fox Force Five (riferimento presente in Pulp Fiction) con tanto di benedizione del buon Quentin. Che si divertirà un sacco a vedere questo film inzuppato nella violenza grafica e grottesca con cui ha fatto scuola, a tratti così estrema in Birds of Prey da sfociare in un vero e proprio “bonebreaker movie” in cui Harley Quinn spezza letteralmente come grissini le ossa ai suoi nemici. Per non parlare delle scene di inseguimento e arrampicata sulle auto che richiamano sfacciatamente gli stunt di Grindhouse – A prova di morte.
Alla resa dei conti, Birds of Prey è un revenge movie tarantiniano in cui la vendetta in atto è quella del mondo femminile contro quello maschile. E il suo intento revanscista non si sfoga solo nelle numerose scene di lotta in cui le bad girls hanno la meglio sui bruti che le perseguitano, ma anche nella progressiva acquisizione di autonomia ed emancipazione delle sue cinque eroine. Donne che, al termine della propria parabola, dimostrano non solo di non aver bisogno di un uomo al loro fianco, ma anzi di preferire la sorellanza, per affermarsi e avere la loro “fantasmagorica rinascita”.
Sembrerebbe superfluo dirlo, ma Margot Robbie è portentosa, l’anima di questo film: non solo lo ha prodotto e ne ha scelto la regista con grande spirito d’azzardo (un’esordiente premiata al Sundance per l’indie Dead Pigs), ma soprattutto è diventata un tutt’uno con Harley Quinn, comprendendone a fondo le dinamiche (guarda e impara, Jared Leto!) e fornendo la miglior interpretazione vista finora in un cinecomic, tanto da farci sperare che Tarantino le regali un ruolo simil Sposa nel suo decimo e ultimo film.
Non che le altre vendicatrici sfigurino al suo fianco: a partire dalla tosta e bellissima Jumee Smollett-Bell (Black Canary), passando per Mary Elisabeth Winstead (Cacciatrice), sempre a suo agio in ruoli muscolari e action, e Rosie Perez (Renee Montoya, perfetta nella parte della poliziotta tosta a cui il capo frega sempre i riconoscimenti), per concludere con l’adorabile Ella Jay Basco (la mascotte del gruppo Cassandra Cain). Un quintetto di donne badass, che dal ruolo di vittima/schiava/gregaria passano a quello di protagoniste, all’insegna di un femminismo rivendicatorio che non può certamente essere la risposta definitiva al conflitto di genere, ma che offre un capovolgimento di ruoli molto divertente, con i personaggi maschili che per una volta soccombono alle damigelle di turno.
Si sarebbe potuta sacrificare almeno una scena di combattimento (tutte coreografate magnificamente) a beneficio di qualche dialogo/monologo ironico in più (come quello sull’infanzia traumatica di Helena Bertinelli/Cacciatrice), ma è poca cosa rispetto alla sfida vinta di aver portato sul grande schermo il primo team-up completamente al femminile (superando di gran lunga lo scadente film originario di cui Birds of Prey è spin off, ovvero Suicide Squad) e dimostrando che il genere action non è affatto appannaggio esclusivo degli uomini.
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