Da qualche parte oltre l’arcobaleno c’è una terra magica e misteriosa, specchio dell’immaginazione dove la fantasia può correre a briglia sciolta e rendere possibile l’impossibile, riparare i torti e ritrovare ciò che nella realtà si era ormai perduto: dopo essere stato immortalato nell’immaginario collettivo dal film di Victor Fleming del 1939, il meraviglioso mondo di Oz non sembrava destinato a rivedere ancora sul grande schermo data l’ingombrante e iconica presenza del classico con Judy Garland; Return to Oz, primo coraggioso tentativo datato 1985 di riportare in vita l’universo nato dalla penna di L. Frank Baum e ad oggi vero e proprio cult fra gli appassionati, era una meravigliosa e purtroppo sottovalutatissima avventura dark capace di affascinare e sconvolgere i bambini della sua generazione pur lavorando con le limitate tecnologie a suo tempo disponibili, ma dopo il trionfo al botteghino del fiacchissimo Alice in Wonderland di Tim Burton era difficile pensare che la Disney avrebbe rinunciato alla sicura opportunità di battere cassa in favore di sentieri più estremi.
Per avviare una nuova macchina produttiva da un franchise non adeguatamente sfruttato la Disney ha scelto di puntare su Sam Raimi, reduce dalla brusca interruzione della sua trilogia di Spiderman e dal ritorno all’horror con Drag me to Hell affinché riportasse in sala Oz e tutti i suoi abitanti: al fine di evitare scontri ideologici e legali, il grande e potente Oz(Oz The Great and The Poweful) preferisce però lasciare in Kansas Dorothy Gale per risucchiare nel tornado la mongolfiera di Oscar Diggs, mago da strapazzo in una fiera di paese destinato secondo un’antica profezia a salvare il Regno dalla tirannia di una perfida strega e a diventare re.
Fra scenografie variopinte e caramellose che non possono fare a meno di ammiccare all’immaginario burtoniano e allo stesso Avatar di James Cameron ma che valorizzano piuttosto bene la terza dimensione soprattutto nella prima parte (l’arrivo ad Oz e la discesa per la cascata sono un vero e proprio giro sulle montagne russe), il Grande e potente Oz diventa un prequel sulle origini dell’eponimo mago per guadagnarsi la giusta libertà e autonomia d’azione, ma non resiste alla tentazione di omaggiare il suo scomodo e illustre antenato a cominciare dagli splendidi titoli e da una sequenza di apertura che opta per un semplice e pur suggestivo bianco e nero prima di scaraventarci nel bel mezzo dell’arcobaleno.
Come in Alice in Wonderland è il motivo della predestinazione a spingere il protagonista sul sentiero di mattoni gialli nell’attesa di un inevitabile scontro con sé stesso e le proprie insicurezze, ma lì dove Mia Wasikowska si trascinava fra le pagine di un copione inerte cercando fastidiosamente di convincerci di essere all’altezza di quanto annunciato dalle sacre pergamene, Oscar “Oz” Diggs sa bene di essere nient’altro che un simpatico mascalzone e nonostante la promessa di voler cambiare la menzogna continua a essere l’unica soluzione possibile: senza calcare la mano su una posticcia epica cavalleresca il film scopre subito le carte in tavola svelando una dichiarazione d’amore al cinema e ai suoi trucchi più segreti, per celebrare con una certa tenerezza la più grande magia che il secolo scorso sia stato in grado di regalarci.
Essendoci Casa Disney a tenere le fila del gioco la partita si svolge comunque su terreni non particolarmente accidentati: con la classica patina zuccherina pronta ad addolcire anche momenti che avrebbero tratto giovamento da un tono più dark, il sapore resta quello di una fastosa e innocua parata dove i personaggi difficilmente sono in grado di sorprendere e i buoni e i cattivi non abbandonano mai i rispettivi partiti ( eccezion fatta per la strega Theodora della più convincente Mila Kunis, tradita però dal più vecchio e tradizionale degli stratagemmi fiabeschi), ma per quanto la strega buona Glinda di Michelle Williams o la perfida Evanora di Rachel Weisz siano prive di una qualche profondità che giustifichi particolari sforzi da parte delle attici, la faccia da schiaffi di James Franco risulta perfetta per il gigioneggiante e squattrinato Oscar Diggs, l’uomo che Oz non si aspettava ma che in un clima d’incertezza politica degno dei nostri tempi la bella strega Glinda è disposta ad appoggiare senza esitazione.
Sostenuto da una partitura che riecheggia Corpse Bride e il più recente Dark Shadows di Burton firmata dal suo fedelissimo soldato Danny Elfman, il Grande e potente Oz è quello che Alice in Wonderland avrebbe potuto essere: una fiaba colorata che diverte, intrattiene e riesce a guadagnarsi il nostro rispetto, grazie alla fascinazione per un’illusione cinematografica che non ci stancheremo mai di applaudire e che dona alla confezione quel pizzico di prestigio in più.
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