Rendition - Detenzione illegale: la recensione di Luca Ferrari
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Rendition – Detenzione illegale: la recensione di Luca Ferrari

Rendition – Detenzione illegale: la recensione di Luca Ferrari

Sparizioni. Silenzi. Interrogatori. Urla inascoltate. Un crudele salto nel buio. Storie d’amore mescolate a vendette. La violenza chiama sempre violenza. “Un egiziano con la green card? Te la do io l’autorizzazione”. Sono queste le terrificanti parole che il capo dei Servizi Segreti, Corrine Whitman (Meryl Streep), pronuncia all’indomani di un attentato in terra straniera dove ha perso la vita anche un agente della CIA. Un attimo dopo l’ingegnere chimico Anwar El-Ibrahim (Omar Metwally), di rientro negli Stati Uniti dal Sudafrica, con il pretesto di un controllo aeroportuale, viene incappucciato, e il suo nome cancellato dalla lista dei passeggeri appena sbarcati. Può iniziare l’incubo. È Rendition (2007), pellicola diretta da Gavin Hood, incentrata sui noti casi di sparizioni illegali effettuate dai servizi segreti americani ai danni di sospetti (presunti) terroristi, e per questo torturati in prigioni segrete e non per ottenere informazioni. Una pratica questa avviata dall’amministrazione Clinton e portata ai massimi livelli sotto il doppio mandato presidenziale di George W. Bush, nel dopo 11 settembre. Un dramma, quello delle “rendition” che ha coinvolto, e probabilmente continua a coinvolgere molte persone. Che si ritrovano senza un perché, senza alcuna assistenza legale e senza nessun diritto sotto le grinfie di spietati e autorizzati aguzzini, capaci di far impallidire anche il più becero carceriere medievale. Così com’è successo nella realtà a Khalid El-Masri e Maher Arar per esempio, dalle cui drammatiche vicende il regista sudafricano si è ispirato per questa pellicola. “Posso telefonare a mia moglie?” chiede Anwar all’inizia della sua discesa nella sofferenza. “No!”. È la risposta secca durante il primo interrogatorio. “Mettilo sull’aeroplano” è la condanna della potente Corinne, a capo della CIA. L’atterraggio in una città nordafricana del velivolo avviene in una sorta di luce rossa. Crepuscolare. Quasi infernale. All’aeroporto di Chicago intanto, lo aspettano ignari il piccolo figlio Jeremy e la moglie (incinta) Isabella, cui presta il delicato volto e l’angoscia, il premio Oscar Reese Whiterspoon. Ma se all’inizio la donna sembra trovare un aiuto nell’amico Alan (Petere Sarsgaard), braccio destro del potente senatore Hawkins (Alan Arkin), presto si renderà conto che la di lui carriera viene prima di qualsiasi amicizia. “Non essere uno di quelli che si gira dall’altra parte” gli dice quasi supplicante la sempre più disperata Isabella. Toccherà al giovane analista della CIA Douglas Freeman (Jake Gyllenhaal) rompere la catena viziosa delle menzogna, imbracciando le “Watergatiane” vesti di novello Woodward/Bernstein, e denunciare con nomi e azioni quanto sta accadendo sotto il naso di tutti. Accusando di fatto la propria nazione. Mettendo la Verità prima di qualsiasi altro valore. Curiosamente sulla nota enciclopedia libera Wikipedia, nella versione italiana, viene raccontato ben poco di questo film. Perfino Legally blonde (La rivincita delle bionde), commedia non certo paragonabile per importanza a Rendition, e che vede sempre protagonista Reese Whiterspoon, ha molto più testo. Tra un mese intanto devo prendere un aereo. E ne prenderò altri ancora. E se un giorno al mio sbarco qualcosa andasse storto? E se il mio taglio di capelli mi facesse somigliare a qualcuno? E se il mio numero di cellulare fosse stato clonato e utilizzato da un pazzo per uccidere, come farei a provare la mia innocenza? Chi si metterebbe in discussione per farlo? Il fatto di essere un cittadino dell’Unione Europea mi dà qualche diritto, o l’appartenenza alla Razza Umana mi lascia dei doveri morali per cui battermi sempre e comunque? La scelta sta a noi. Se ignorare le urla di chi soffre, o spaccare le nostre catene e cambiare il mondo.

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