Una delle quattro caratteristiche fondamentali di un ninja è il dono dell’invisibilità. Ma essere invisibili, alla lunga, non piace a nessuno e il peso di starsene sempre nascosti nel loro rifugio sotterraneo si fa sentire anche per leTartarughe Ninja. Non è solo questione di prendersi quella che sarebbe la giusta ribalta per aver salvato New York dai piani distruttivi di Shredder, ma un forte desiderio di uscire alla luce del sole e sentirsi come tutti gli altri. Sentirsi umani.
Rispetto al suo predecessore, il sequel di David Green calca meno la mano sulle gag del quartetto protagonista (che comunque non mancano, così come le citazioni) per approfondire la loro voglia di integrarsi con il mondo esterno, sopra le fogne della Grande Mela. Scelta vincente, perché dona al film quel minimo di spessore psicologico che riesce a definire le personalità di Leonardo, Michelangelo, Donatello e Raffaello meglio di quanto avesse fatto il primo capitolo di Jonathan Liebesman. Le tartarughe stanno crescendo e con loro aumenta anche quel senso di alienazione tipico di ogni adolescente, che non sogna nient’altro che venire accettato dalla società in cui vive.
Il concetto di famiglia continua a essere fondamentale, così come le inevitabili fratture che si creano quando si confrontano caratteri così diversi l’uno dall’altro. È bello il modo in cui il film esplora la necessità di restare uniti, abbracciando le proprie differenze senza respingerle o volerle cambiare. Ed è bello notare come questa volta l’equilibrio tra le tartarughe sia maggiore e meglio gestito, senza che qualcuno (Michelangelo) metta in ombra l’altro. Poco importa se il resto dei personaggi fa solo da contorno – troppo debole il Casey Jones di Stephen Amell -: le dinamiche tra i protagonisti funzionano, così come le due new entry Bebop e Rocksteady, due macchiette divertenti che avrebbero però potuto interagire di più con Leonardo e soci, sebbene lo scontro prima ad alta quota poi nella foresta brasiliana sia un intrattenimento action di ottimo livello. E Krang, il malvagio cervello alieno? È l’elemento sci-fi del film, che rende il catastrofismo finale in perfetto stile Michael Bay (sempre produttore). Non viene sfruttato molto, ma in questo caso sembra evidente il desiderio di conservarlo per un terzo capitolo, molto più che probabile.
Fuori dall’ombra è dunque un sequel che non pretende di essere nulla di diverso da ciò che è: un’evasione estiva semplice, divertente e con un buon ritmo, adatta a un pubblico teen ma apprezzabile anche da chi delle Tartarughe (mi raccomando, non testuggini!) è fan da sempre.
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Mi piace:
La riflessione sulla voglia di integrarsi dei protagonisti e sull’importanza dell’essere sempre un team, anche in famiglia.
Non mi piace:
Stephen Amell, che riesce nell’impresa di rendere anonimo un personaggio tosto per tradizione come Casey Jones.
Consigliato a chi:
È da sempre fan delle Tartarughe e pensa che al primo capitolo mancasse qualcosa.
Voto: 3/5
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