La cosa più impressionante dei lavori televisivi targati Sky di Niccolò Ammaniti, specie considerata la sua estrazione professionale, è la capacità di pensare il racconto attraverso la costruzione delle immagini, un procedimento che ha molto a che fare con la scelta degli attori, con le scenografie (di Mauro Vanzati) e con i costumi (di Catherine Buyse), e solo dopo con l’impaginazione, cioè inquadrature e montaggio.
In questo senso Anna, che a differenza di Il miracolo è adattato da un suo romanzo (assieme a Francesca Manieri), mette in fila tutta la serialità italiana degli ultimi anni, compresi i lavori di Sorrentino, nel momento in cui si cercano in uno show non soltanto i segni di uno stile – costi quel che costi in termini di coerenza e ritmo della storia – quanto la potenza della messa in scena al servizio della narrazione.
In un’Italia post-pandemica, gli unici sopravvissuti sono i bambini: con la pubertà arriva anche il virus, gli adulti muoiono e non sarà più possibile riprodursi. Questo scenario terminale e decivilizzato è rappresentato come un incrocio tra Il signore delle mosche e Ken il Guerriero, i bambini sono per lo più inconsapevoli e manipolati da pochi altri, scaltri e feroci. Il mondo in cui vivono è una specie di infinita frontiera, un West fatiscente e infantile gestito da bande morenti. Senza auto, ogni spostamento, anche piccolo, è un Viaggio. Come quello che compiono Anna e il fratello minore Astor guidati da un quaderno lasciatogli dalla madre, e che li porterà a incrociare minacce di ogni genere.
Serie per adulti con protagonisti in larga maggioranza bambini, Anna è davvero una rarità: non si tira mai indietro di fronte al perturbante ma opera sulla Storia con lo sguardo dei poeti decadenti, cercando nella corruzione e nella morte una paradossale bellezza (in questo senso gli ultimi due episodi sono piccoli capolavori).
I giovani attori sono mediamente bravi, la struttura a flashback delle sei puntate è funzionale e perfettamente contemporanea, e la suspense del thriller si scambia continuamente il passo con la commozione del dramma umanista.
È sempre spiacevole fare graduatorie ma d’altra parte ha senso pensare a un benchmark, capire dove guardiamo quando parliamo di futuro della serialità italiana, di modernità del racconto e maturità delle immagini: allora ecco, il presente è questo e il futuro comincia da qui, lontano dai prodotti generalisti e politicamente ingessati inseguiti dalla “nuova mediaset” degli Amazon e dei Netflix, ma tutto sommato anche dalle retrovie della prestige tv anglosassone.
Foto: Sky
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