Big Little Lies 2, tra fantasmi del passato ed elaborazione del lutto – la recensione
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Big Little Lies 2, tra fantasmi del passato ed elaborazione del lutto – la recensione

Dopo una prima stagione molto apprezzata, la seconda annata si conclude tra applausi e polemiche interne. E con una grande Meryl Streep

Big Little Lies 2, tra fantasmi del passato ed elaborazione del lutto – la recensione

Dopo una prima stagione molto apprezzata, la seconda annata si conclude tra applausi e polemiche interne. E con una grande Meryl Streep

Meryl

Avere attrici come Nicole Kidman, Reese Witherspoon e Laura Dern non è una cosa tanto frequente per una serie televisiva, tanto che fin dal primo giorno Big Little Lies si è distinta soprattutto per il suo eccezionale cast, che oltre ai nomi principali poteva sfoggiare il talento di interpreti come Adam Scott, Shailene Woodley, Alexander Skarsgard e Zoe Kravitz.

Il risultato è stato sorprendente, così come l’accoglienza di pubblico e critica, tanto che la serie è diventata un vero e proprio fenomeno popolare in grado di parlare di violenza domestica e sorellanza femminile in un momento in cui Trump era da poco stato eletto alla Casa Bianca e stava per esplodere il caso Weinstein.

La prima stagione è stata l’emblema del prestige drama contemporaneo perché ne possedeva tutte le principali caratteristiche: un autore molto apprezzato (David E. Kelley), un regista di provenienza cinematografica (Jean-Marc Vallée), un’opera letteraria di partenza (il romanzo omonimo di Liane Moriarty) e un cast estremamente blasonato.

Ciò che invece non era previsto era il rinnovo della serie. In seguito alla pioggia di premi ricevuta da Big Little Lies, infatti, HBO ha capito di avere in casa una gallina dalle uova d’oro e subito dopo aver avuto l’ok da parte del cast ha deciso di portare avanti la serie per una seconda stagione.

Per superare lo scetticismo di buona parte dei fan e soprattutto della critica specializzata, HBO si è giocata due jolly molto pesanti, da mettere uno dietro e l’altro davanti alla macchina da presa. Al posto di Vallée, infatti, a dirigere tutti gli episodi della seconda stagione è arrivata Andrea Arnold, regista britannica di grande talento e capace di raccontare le donne con una sensibilità unica. Al cast già pullulante di star si è aggiunta Meryl Streep, un’attrice che non ha bisogno di presentazioni e che anche in questa occasione ha potuto dimostrare le sue smisurate doti.

Nella seconda stagione la serie ha perso quella direzionalità che caratterizzava la prima annata, tutta tesa verso il climax finale alluso già dai flashforward presenti sin dai primi episodi. Questa volta la storia si espande in maniera reticolare, andando a ispezionare i traumi e le contraddizioni dei singoli personaggi, soprattutto a seguito dei tragici eventi che hanno chiuso la prima stagione.

Questa nuova impostazione drammaturgica crea sicuramente degli scompensi dal punto di vista del ritmo, perché la serie aveva abituato il proprio pubblico a stimoli narrativi molto più serrati e gli poneva continuamente interrogativi grazie alla forte componente mystery. A bilanciare le cose però quest’anno c’è un maggior approfondimento dei personaggi, i quali non essendo più schiavi del plot possono essere raccontati con più precisione.

Se l’introduzione di Meryl Streep all’interno dell’architettura narrativa è stata forse la novità più interessante (assieme al tocco di Arnold dietro la macchina da presa), la sceneggiatura di Kelley si è invece dimostrata molto meno performante rispetto alla prima stagione, perché l’autore non ha gestito con la stessa facilità una narrazione molto meno lineare, che pertanto ha rischiato molto spesso di sfuggirgli di mano.

In particolare con il personaggio di Bonnie Kelley ha calcato un po’ troppo la mano, costruendo un rapporto con la madre che mal si sposava con il resto del racconto e soprattutto raccontandolo in maniera eccessivamente sensazionalistica. Verso la fine della stagione, inoltre, è uscita su Indiewire un’inchiesta secondo la quale il girato di Arnold sarebbe stato stravolto da Vallée (rimasto produttore esecutivo) compromettendone la natura originaria. In effetti soprattutto negli ultimi tre episodi il montaggio appare spesso molto brusco e poco coerente con le narrazione.

Ad oggi la serie non è stata ancora rinnovata per una terza stagione, ma visto il successo (che quest’anno è stato ancora superiore dal punto di vista dei rating) è possibile che HBO voglia portare avanti lo show. Nonostante alcune critiche ricevute e il misterioso quanto triste “caso Arnold” la serie ha una qualità e un successo tali da meritare una nuova annata.

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