Da Gomorra a Narcos: Messico, il fascino delle serie criminali
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Da Gomorra a Narcos: Messico, il fascino delle serie criminali

In occasione dell’uscita dello spin-off della celebre serie Netflix in Dvd e Blu-ray il 20 novembre, riflettiamo sugli aspetti più seducenti e magnetici della serialità crime

Da Gomorra a Narcos: Messico, il fascino delle serie criminali

In occasione dell’uscita dello spin-off della celebre serie Netflix in Dvd e Blu-ray il 20 novembre, riflettiamo sugli aspetti più seducenti e magnetici della serialità crime

Narcos: Messico

Il prossimo 20 novembre sarà disponibile in formato Dvd e Blu-ray la prima stagione della serie Netflix Narcos: Messico, approdata sul colosso di streaming on demand lo scorso anno. Lo spin-off di Narcos, com’è noto, si concentra sul cartello messicano di Guadalajara negli anni Ottanta e ha per protagonisti Diego Luna e Michael Peña nei panni di Miguel Gallardo, gestore del traffico di droga e delle piazze di cocaina, e dell’agente della DEA Enrique “Kiki” Camarena, che ereditano il testimone della storia di Pablo Escobar e del cartello di Cali esplorata nelle prime tre stagioni.

Un prodotto, del quale è già stata confermata alla fine del 2018 la seconda stagione, collocata in Colombia, che ha contribuito a rafforzare l’abilità di questo tipo di narrazione sulle organizzazioni criminali e malavitose di produrre un’attrazione impareggiabile nell’immaginario collettivo, in una sorta di moderna versione di quanto fatto a suo tempo dal cinema di Scorsese e Coppola con i loro anti-eroi e mafiosi italo-americani.

I potentissimi cartelli centro-americani di Narcos: Messico e i loro esponenti, i nuovi “signori della droga” tra i quali spicca sicuramente El Chapo Guzman (al quale Netflix ha dedicato anche una serie stand-alone, El Chapo), rappresentano con ogni probabilità l’apice di questa fascinazione per il Male. Un elemento spinoso e controverso, del quale spesso si parla in modo predicatorio e manicheo, a metà strada tra sociologia a buon mercato e argomentazioni spicciole.

Ma, se si guarda all’oggetto con maggiore complessità e senza sterili indignazioni di facciata, si nota come la forza della serialità alla Narcos: Messico stia proprio nella capacità di andare oltre la contrapposizione schematica tra giusto e sbagliato. Di scavare in profondità in psicologie sulla carta opposte ma di fatto ugualmente tormentate, senza rinunciare a una seduzione in tutto e per tutto estetica per le loro figure e alla valorizzazione tanto della coolness quanto dell’ambiguità che esse portano con sé.

Non era certo facile essere all’altezza del lascito dell’Escobar di Walter Moura, a sua volta un feticcio mediatico invasivo coi suoi tormentoni a misura di meme (“plata o pomo?”, giusto per citare la frase più nota), ma Narcos: Messico ha portato a termine questa missione proibitiva insistendo su un dualismo a dir poco sfaccettato. A riprova di come il Bene e il Male non siano solo due facce della stessa medaglia ma anche due forze che s’influenzano e si caricano vicendevolmente di sfumature, rendendo i confini e i contorni delle proprie azioni tutt’altro che granitici.

Casi analoghi non hanno investito ovviamente soltanto operazioni culturali legate al mondo latino-americano ma anche produzioni occidentali che hanno saputo dire la loro in questo campo, a partire dagli esempi più vicini a noi. Da Gomorra – La serie, capace di istituire modi di dire ricorrenti ormai entrati nel linguaggio comune (Du’ frittur, “Guagliò, stà senz pensier!”, “Ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost” e chi più ne ha più ne metta), al diktat cult di Suburra – La serie (“È stata Roma”), altra produzione Netflix, passando naturalmente per il prototipo targato Sky di Romanzo Criminale – La serie, che attraverso il racconto delle gesta della Banda della Magliana fu in grado non solo di fissare nello star system nostrano alcuni attori emergenti (Montanari, Marchioni, Bocci…), come già fatto pochi anni prima dall’omonimo film di Michele Placido, ma anche di fornire uno spaccato dell’Italia a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio dei ’90  che intercettava le ambientazioni, gli abiti, il décor, la moda, gli usi e costumi dell’epoca.

Tutti aspetti sui quali Narcos: Messico dice la sua in maniera pregevole, focalizzandosi su quel “mondo di mezzo” che nei media tradizionali non si vede mai concretamente e capitalizzando il successo senza precedenti riscosso negli ultimi anni dai tv show incentrati sul narcotraffico. Un esito talmente marcato, quasi alle soglie del fenomeno di costume (Fiorello, mercoledì sera scorso, ha dedicato al filone un’intera porzione del nuovo contenitore online VivaRaiPlay!, ironizzando per di più sulla fruizione in streaming del suo sketch), da portare all’affermazione del termine narconovelas per indicare tale tipologia di produzioni, indiscutibile fiore all’occhiello della serialità contemporanea di notevole ricaduta popolare e qualità formale, e al rilancio su larga scala della cosiddetta narcomoda.

Un territorio, quest’ultimo, sul quale Narcos: Messico ribadisce le sue peculiarità e la sua unicità rispetto alla serie madre, lavorando con più puntualità sul look, sui dettagli evocativi, sui vestiti e andando oltre il totem iconico e il singolare impatto della voce di Pablo Escobar, replicata infinite volte in programmi radiofonici, video virali e contenuti di rapidissima diffusione. Basti pensare all’outfit del boss interpretato da Diego Luna, figura pionieristica che rivoluziona il mercato della droga, e in particolare alle sue giacche, su cui si sono versati fiumi d’inchiostro. Manufatti che dicono moltissimo della sua aura da ultimo padrino e dell’efficienza di Gallardo (nomen omen) nel confondersi con i salotti buoni del potere, creando una connivenza e un’ambivalenza inquietanti e impossibili da trascurare.

Foto: ©Netflix; Courtesy of Eagle Pictures Home Entertainment 

Qui sotto il Blu-ray (3 dischi) e il Dvd (4 dischi) della Stagione 1 di Narcos: Messico in uscita il 20 novembre 2019


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