I Am Not Okay with This: la recensione della prima stagione del nuovo teen drama targato Netflix
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I Am Not Okay with This: la recensione della prima stagione del nuovo teen drama targato Netflix

Dallo showrunner di The End of the F***ing World, un teen drama soprannaturale venato d'horror con la giovane protagonista di IT

I Am Not Okay with This: la recensione della prima stagione del nuovo teen drama targato Netflix

Dallo showrunner di The End of the F***ing World, un teen drama soprannaturale venato d'horror con la giovane protagonista di IT

I Am Not Okay with This

Per essere un prodotto destinato a una fascia di pubblico piuttosto giovane, I Am Not Okay With This – il nuovo teen drama con punte horror di Netflix – contiene parecchie strizzate d’occhio al cinema degli anni ’70 e ’80, tanto che il modo più onesto di inquadrarlo è come un incrocio tra Bella in rosa (1986, Howard Deutch) e Carrie – Lo sguardo di Satana (1976, Brian De Palma), due titoli che di questi tempi sono un riferimento ricorrente. Qui il gioco però è particolarmente scoperto, un po’ perché la protagonista Sophia Lillis (la stessa di IT e Sharp Objects) è molto simile alla Molly Ringwald di Pretty in Pink, un po’ perché tutta la serie è imperniata fin dal prologo su una scena che richiama il climax del capolavoro di De Palma.

Tratto da un graphic novel con lo stesso titolo, I Am Not Okay With This è – ridotta all’osso – l’ennesima origin story di un/una teenager che scopre di avere i superpoteri, qui più che altrove metafora della pubertà e in particolare della maturazione sessuale. Un coming of age in piena regola, con al centro la diciassettenne problematica Sidney – una brutta casa nella più brutta periferia di Pittsburgh, un padre morto suicida, un fratello minore bullizzato e una madre con cui non riesce ad andare d’accordo.
Il triangolo (sentimentale) dei protagonisti comprende anche il coetaneo – super-geek ma brillante – Stanley e l’amica Dina, poli romantici tra i quali Sidney viene sballottata fino a dover prendere una decisione sui propri gusti e il proprio benessere.

Showrunner e regista è Jonathan Entwistle, lo stesso di The End of the F***ing World, e si vede lontano tre metri: stessa confezione da buon cinema indie, provinciale e blandamente cinico, stessa premurosa attenzione verso gli emarginati con problemi di controllo della rabbia. Se la frustrazione sessuale del teenager verso famiglia e società si fa omicida, lo spettacolo ci guadagna e l’umorismo si scurisce.

Sette puntate da mezz’ora scarsa, si divorano in un weekend: binge watching da manuale. Il cliffhanger in chiusura di season finale introduce la seconda stagione e cambia le coordinate, in modo scontato ma appropriato. Ne vogliamo ancora pur sapendo che non sarà altrettanto divertente.

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