Un’amicizia femminile, quella, irripetibile e speciale, tra Lila Cerullo ed Elena Greco, dall’infanzia nella Napoli degli anni Cinquanta del secolo scorso fino ad oggi: L’amica geniale, straordinario bestseller della quadrilogia di Elena Ferrante che ha tenuto incollati alle pagine milioni di lettori, è una storia con il super-potere prezioso dell’universalità.
La capacità, vale a dire, di parlare a pubblici diversi, anche oltre i confini nazionali dell’Italia da cui proviene l’autrice (il suo successo in America, anche presso il pubblico colto – James Franco è un fan scalmanato del romanzo, per esempio – lo testimonia).
Non stupisce allora che HBO-Rai Fiction e TIM Vision abbiano voluto unire le forze per portare sul piccolo schermo (si vedrà in autunno su Rai Uno, nelle sue otto puntate totali) un adattamento firmato dal validissimo regista Saverio Costanzo.
Autore che ha già dimostrato di sapere come padroneggiare storie intime e raccolte, in grado di far coesistere e convivere particolare e universale (Private, La solitudine dei numeri primi, Hungry Hearts, forse il suo lavoro più ambizioso, con addosso il romanticismo di una vena polanskiana in miniatura).
Dal punto di vista formale le prime due puntate de L’amica geniale, che abbiamo visto in anteprima mondiale alla Mostra del cinema di Venezia 2018 (si intitolano Le bambole e I soldi), sono piane e distese, rivelatrici della volontà di aderire in maniera assolutamente fedele alle pagine della Ferrante.
Ciò toglie qualcosa in termini di rischio, perché non essendoci un tradimento non c’è nemmeno uno scarto, ma regala a tutti i lettori, specie a quelli che hanno amato il romanzo a puntate della scrittrice, la possibilità di vedere respirare le sue creature in un universo partenopeo fatto di suoni e colori, crudeltà e purezza recisa. Sempre in bilico sul baratro della crescita, del dolore, della scoperta della vocazione all’arte e alla scrittura.
La piccola Elena infatti è il dispositivo autobiografico de L’amica geniale sul quale, in maniera opportuna, sembra sintonizzarsi anche il regista, figlio del celebre presentatore Maurizio Costanzo, che evita storture patetiche e passi falsi evidenti. Gli anni della sua crescita sono amari ma anche vividi, caldi, segnati dalla ferocia degli adulti e dagli eccessi di un microcosmo popolare che non fa sconti.
Nel romanzo c’è però anche una poesia e una malinconia che respira e vive delle piccole cose, di dettagli minuziosi e descrizioni illuminanti, riproposta dalla serie e cullata dalla voce narrante di Alba Rohrwacher (Elena da adulta, nella trasposizione): elementi che elevano il tutto al di sopra del midcult per borghesi annoiati (cosa che non è mai), intercettando lo spaccato di un sentimento del tempo e del mondo.
L’angoscia, tema caro a Costanzo, filtra non tanto in sede di sceneggiatura quanto nel tappeto sonoro che sta sotto alle immagini, sedimentandosi senza far rumore e senza suscitare clamore sotto la pelle dell’affresco a tinte forti, tra maestre troppo rigide e silenzi che tolgono il fiato e spezzano il cuore in due.
Il rione diventa così una finestra sul passato, un portale per esperienze ed emozioni travolgenti, mai provate prima, ravvivate dalle belle interpretazioni delle due protagoniste bambine, Elisa Del Genio e Ludovica Nasti. Tanto che viene in mente, per tutti i 120 minuti delle prime due puntate, la bellissima frase di Stand by me: «Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?».
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