Watchmen è una di quelle opere che ti lasciano senza parole, una graphic novel che ha segnato così tanto l’immaginario dell’epoca e quello successivo da essere costantemente inserita tra le pietre miliari non solo del genere, ma delle opere d’ingegno del Novecento tout court.
Confrontarsi con il lavoro di Alan Moore e Dave Gibbons per farne un adattamento è una missione quasi impossibile, perché qualsiasi tipo di trasposizione o riscrittura corre l’elevatissimo rischio di essere anche una semplificazione, vista la complessità della materia originale (e ne sa qualcosa Zack Snyder, regista del film tratto dal fumetto uscito nel 2009).
Quando HBO ha annunciato la messa in produzione di una versione televisiva di Watchmen, il primo pensiero di tanti è andato proprio alla versione cinematografica di dieci anni fa, simbolo della estrema difficolta incontrata nel maneggiare questo testo.
Le paure sono andate man mano sciogliendosi nel momento in cui è stato annunciato Damon Lindelof come creatore, showrunner e sceneggiatore principale della serie, uno che con Lost la televisione ha dimostrato di saperla cambiare davvero e che con The Leftovers ha regalato a HBO il drama meglio recensito dalla critica degli ultimi dieci anni.
Basta leggere le interviste a Lindelof, seguirlo tramite i suoi profili social, sentire ciò che dicono di lui e vedere le serie che realizza per farsi un’idea non solo del suo talento ma anche della passione che mette in ogni cosa che fa. Alla luce di ciò, aver scelto di imbarcarsi in questo progetto è stata senza dubbio una decisione ponderata, figlia di una passione viscerale per il fumetto di partenza e nutrita dalla consapevolezza di avere davvero qualcosa da raccontare.
A dimostrazione di quest’ultimo punto, già diversi mesi fa l’autore tramite un lungo post su Instagram ha messo in chiaro che il suo non sarà un adattamento tradizionale dell’opera di Moore e Gibbons, sia perché meglio di così è difficile fare, sia perché dal punto di vista creativo Lindelof ha voluto fin dal primo giorno riservarsi un ampio margine di personalizzazione del racconto.
Quella che inizierà domenica negli Stati Uniti su HBO e lunedì in Italia su Sky Atlantic non è quindi una trasposizione ma un’operazione molto più ambiziosa e intrigante, che lavora sul concetto di adattamento per farne una creatura incredibilmente consapevole del ruolo e del funzionamento delle narrazioni estese e degli ecosistemi narrativi. Il Watchmen di Lindelof, infatti, è un adattamento fedelissimo dal punto di vista dell’atmosfera del fumetto, delle coordinate generali e dell’anima profonda che Moore e Gibbons hanno conferito alla loro opera. Sul piano narrativo, però, la serie scarta di lato in maniera brusca e sceglie una strada indipendente, lavorando sui materiali di partenza per prendere solo quello che le interessa e tradire il resto in favore di una rivisitazione personale in grado di declinare il cuore intimo del fumetto nel nostro presente attraverso una nuova storia.
Come lo stesso Lindelof ha dichiarato, il suo è un adattamento perché si propone di affrontare le stesse questioni muovendosi all’interno del medesimo universo narrativo. In sostanza, Watchmen è una storia che parla prima di tutto dell’America, offrendone una lettura molto caustica dal punto di vista politico/sociale, ma anche capace di ancorarsi a un’americanità in grado di dare speranza anche nei momenti più neri.
Sia nella graphic novel che nella serie televisiva, infatti, Watchmen racconta la storia di personaggi/persone mossi dalla voglia di compiere gesta eroiche, di essere utili al prossimo anche a costo di sacrificare qualcosa di proprio, ciascuno per le proprie ragioni. Allo stesso tempo però, la serie fa dialogare questo elemento con un Male apparentemente invincibile e indecifrabile, che mette alla prova ogni forma di eroismo e la corrompe. Se da una parte il fumetto di Moore e Gibbons, uscito a metà degli anni Ottanta, riconduceva questo Male alla minaccia nucleare durante la Guerra Fredda, dall’altra la serie di Lindelof, essendo altrettanto radicata nel (proprio) presente, identifica il “nemico” in questioni più contemporanee.
Incrociando personaggi nuovi e vecchi e servendosi di un cast ottimamente assortito in cui spiccano Regina King, Jeremy Irons, Tim Blake Nelson, Louis Gossett Jr. e Jean Smart, Lindelof parla di conflitti razziali e di suprematismo bianco, rappresentando una società prossima alla nostra della quale mette a fuoco le discriminazioni, la pervasività della violenza e le disfunzionalità legate alla giustizia.
Il presente non è però l’unico focus perché Watchmen è una serie estremamente ambiziosa anche dal punto di vista narrativo, in quanto a partire da alcune questioni decisamente attinenti ai giorni nostri il racconto abbraccia archi temporali molto ampi, offrendo una riflessione profonda e avvincente sul Novecento statunitense e su come si è arrivati alle contraddizioni contemporanee.
Stando ai primi sei episodi visti in anteprima (la stagione intera ne conta nove), la maggiore qualità della serie consiste nella capacità di prendere tante questioni differenti e personaggi molto diversi tra loro e narrarli con grande attenzione – e forse finanche affetto – nei confronti del medium televisivo. Lindelof riesce a intrecciare tutto senza mai dare la sensazione di star facendo un lungo film diviso in parti, né una serie di episodi scollegati tra loro, bensì esaltando la natura seriale (e settimanale) della serie, dando un ruolo specifico a ciascun episodio ma al contempo costruendo anche una progressione narrativa che di puntata in puntata approfondisce meglio ciò che in un primo momento è stato solo accennato o visto attraverso una sola delle lenti possibili.
Watchmen, quindi, è una serie da non perdere nonché una delle principali novità del 2019, capace sia di costruire una riflessione tagliente e sfaccettata sul razzismo nella nostra cultura, sia di proporre un nuovo modo di guardare ai supereroi, sfruttando al meglio la graphic novel da cui prende le mosse ma anche il talento delle personalità coinvolte, che da Lindelof vanno al cast, passando per la regia di Nicole Kassell (già regista di alcuni degli episodi più innovativi di The Leftovers) e la musica di Trent Reznor e Atticus Ross.
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