Negli ultimi tre anni Netflix sta investendo tante energie nella realizzazione di prodotti originali, sia aumentando a dismisura la quantità di serie televisive per costruire un catalogo sempre più ricco, sia per incrementare il prestigio degli original attraverso l’ingaggio, spesso in esclusiva, di autrici e autori già affermati. È questo il caso di When They See Us, miniserie in quattro episodi creata da Ava DuVernay.
L’autrice afroamericana, oltre a essere da ormai diversi anni una delle più rilevanti voci della comunità black statunitense, ha già esperienza sul piccolo schermo perché la sua Queen Sugar va in onda da tre stagioni sul canale di Oprah Winfrey raccogliendo ottimi giudizi da parte della critica statunitense.
When They See Us inizialmente si sarebbe dovuta chiamare Central Park Five, rimandando al modo in cui venivano identificati i cinque ragazzi protagonisti del fatto di cronaca a cui la storia si ispira. Si tratta di uno degli eventi più tragici e tristemente iconici della cronaca nera statunitense e newyorkese in particolare, sia per la brutalità di ciò che è accaduto, sia (soprattutto) per tutto ciò che è arrivato dopo.
Il 19 aprile del 1989 Trisha Meili stava correndo nel cuore di Central Park e improvvisamente è stata aggredita e stuprata. In seguito ai fatti la polizia ha arrestato quattro ragazzi afroamericani, Yusuf, Kevin, Antron e Raymon, presenti quella sera nel parco della Grande Mela, più Korey, il quale successivamente era semplicemente andato ad accompagnare l’amico Yusef alla centrale di polizia.
È questa la vicenda che Ava DuVernay intende raccontare, adottando uno sguardo profondamente interno dal punto di vista sociale e culturale, facendo in questo modo emergere la voce dei protagonisti e mettendo in evidenza la violenza delle ingiustizie da loro subite.
In questi anni non di rado capita di sentire gli autori delle serie televisive, specie quando provengono dal mondo cinematografico, definire le proprie opere come dei “film in x episodi”, come se collegare la televisione al medium cinematografico fosse un’operazione nobilitante. Non è il caso di Ava DuVernay e soprattutto non è il caso di When They See Us, perché per quanto breve la serie mantiene orgogliosamente la propria natura episodica, conferendo un’identità ben precisa a ciascuno dei tasselli narrativi.
Le quattro puntate possono essere divise abbastanza facilmente in due coppie. Nella prima ci viene presentato il fatto di cronaca e facciamo conoscenza con gli adolescenti che stanno al centro della serie. I momenti dell’arresto sono emotivamente molto potenti, perché l’autrice sottolinea con precisione la crudeltà della polizia nei confronti di sospettati che all’epoca erano poco più che bambini. Questo atteggiamento, che rivela anche una bella dose di razzismo, emerge in maniera ancora più evidente nel secondo episodio, in cui al centro del discorso c’è la parte legale con il processo ai protagonisti per l’aggressione e lo stupro.
Gli altri due episodi guardano la vicenda un po’ più da lontano, inquadrando in una prospettiva storica l’accaduto e ponendosi in maniera esplicita come un atto d’accusa nei confronti del sistema giudiziario e carcerario americano, evidenziando con voce decisa gli episodi di razzismo che a tutti i livelli la comunità black statunitense subisce quotidianamente.
When They See Us è una serie emotivamente molto potente, che – a differenza di altre opere recenti come Green Book – racconta le discriminazioni razziali con una prospettiva interna centrando perfettamente il bersaglio, dimostrando che determinate ingiustizie sociali possono essere comprese realmente in tutta la loro violenza solo se raccontate da chi le subisce.
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