L’abbiamo già detto tante volte, ma vale sempre la pena ricordarlo: la serialità italiana non sarebbe arrivata dove si trova oggi se non fosse stato per Stefano Sollima. Il regista romano, prima con Romanzo criminale e poi con Gomorra, ha inaugurato una nuova stagione del nostro crime televisivo (e non solo), attuando un progresso misurabile sia in termini di realizzazione tecnica che di ambizioni narrative. Lo ha fatto scegliendo per sé un ruolo ibrido tra lo showrunner all’americana e l’autore cinematografico: quello del “creatore” di serie Tv che, più che occuparsi direttamente della scrittura, si concentra sullo sviluppo generale del progetto, dirigendo direttamente alcuni episodi e supervisionando tutto il resto. Un modello che torna anche in ZeroZeroZero, su Sky Atlantic dal 14 febbraio.
Tratta dal bestseller omonimo di Roberto Saviano e prodotta da Cattleya e Bartlebyfilm, la serie affronta il traffico della cocaina su scala globale, saltando avanti e indietro fra quattro continenti per raccontare scenari apparentemente slegati e in realtà complementari: i cartelli messicani, la ‘ndrangheta calabrese e la grande imprenditoria americana. Il tutto con il consueto occhio di Sollima per l’intreccio tra denuncia e dispositivo action. «Volevamo fare una cosa diversa da Gomorra, che aveva tutto sommato un approccio neorealistico, soprattutto nella scrittura, ma anche nello stile di ripresa. In ZeroZeroZero abbandoniamo completamente la linearità del racconto saltando avanti e indietro nel tempo, e anche da un punto di vista dello stile la confezione è molto più estetizzante, perché bisognava esaltare i tanti scenari diversi in cui si sviluppa la storia».

ph. credit Rosa Hadit/Courtesy of Sky Atlantic
Come mai questa scelta di scomporre i tempi del racconto?
«Parto da una premessa: la nostra idea era di osservare il mondo in cui viviamo, in particolare il capitalismo estremo e la globalizzazione, attraverso la lente distorta del traffico di stupefacenti. Si trattava quindi di raccontare la cocaina come una merce, una merce come un’altra. E quindi di vedere come il narcotraffico impattasse sulle realtà sociali ed economiche di diverse zone del mondo. Ecco perché la serie segue un singolo viaggio di un singolo carico di cocaina. Carico inteso proprio come container, la materia prima non la vediamo praticamente mai… E poiché quel viaggio ha una durata di 20 giorni, in fase di scrittura ci siamo resi conto che seguire in modo lineare uno qualsiasi dei mondi coinvolti, ci faceva perdere dei pezzi importanti degli altri. Da qui la scelta di individuare delle scene chiave e alla fine di ciascuna tornare indietro per capire cosa è successo nel frattempo altrove. A quel punto lo spettatore deve abbandonarsi al racconto, rinunciare a “controllare” la narrazione e concentrarsi invece sul modo in cui i singoli eventi agiscono sui personaggi».
Continua a leggere l’intervista a Stefano Sollima sul numero di febbraio di Best Movie in edicola dal 30 gennaio 2020.
Foto: © Patti Perret/Courtesy of Sky Atlantic
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