Il groviglio di conigli su cui si conclude La favorita di Lanthimos. Il soffitto della sala da concerti in Nuestro Tiempo di Reygadas. I bambini persi tra le onde nel più bel pianosequenza di Roma. La strage nella grotta in Killing di Shin’ya Tsukamoto: “Usa il tempo che ti resta per riflettere sulla tua vita”. Le mosca che vola nell’abitacolo del razzo in Il primo uomo di Chazelle. Le ossa che si spezzano nella sequenza più cruenta di Suspiria. Juliette Binoche che parla di Juliette Binoche come se non fosse lei stessa Juliette Binoche in Non Fiction di Assayas. La mamma dei due Sisters Brothers che li vede arrivare e non è mica così convinta di lasciarli entrare. L’assalto degli indiani che vengono giù dall’orizzonte nel quinto episodio della Ballata di Buster Scruggs. La trincea come un incubo nel finale di Sunset di Laszlo Nemes. Van Gogh che racconta allo psichiatra che quell’orecchio mozzato era un regalo per Gauguin in At Eternity’s Gate.
Sono le mie cartoline dal Concorso di una delle edizioni più ricche di spunti autoriali della storia recente del Festival di Venezia. I ricordi indirizzano le scelte quanto la coscienza critica, e quindi questi titoli già raccontano le mie preferenze.
Vestito da spettatore, darei il Leone d’Oro a Lanthimos, alla sua eccezionale sensibilità per il grottesco e alle sue splendide attrici (Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz, tutte da nomination all’Oscar).
Vestito da critico, al fluviale poema privato, sentimento panico e crisi di coppia, di Carlos Reygadas, che però ha messo seriamente alla prova le mia resistenza ai seggiolini del Palabiennale.
Assegnati a loro il Leone d’Oro e quello d’Argento, terzo posto e miglior regia ai Coen, per manifesta superiorità e irridente controllo dei generi, nonostante i gesti poderosi di autori veri come Guadagnino, Corbet, Cuaròn e Tsukamoto. Lo porta via di un niente, questo bronzo, a Chazelle, che mette in scena l’esperienza del volo spaziale con un livello di realismo da lasciarti stecchito.
Miglior sceneggiatura al parlatissimo divertissement sul mondo dell’editoria – ultra-contemporaneo e molto radical-chic! -, di Assayas.
Per il miglior attore è dura scegliere tra John C. Reilly, bandito premuroso per Audiard, e il Van Gogh pieno di pathos di Willem Dafoe, ma il modo in cui quest’ultimo prende un film altrimenti dozzinale e ne fa un ritratto da girarti lo stomaco è vera magia professionale. Vince lui.
Mi pare un giusto premio di consolazione per The Sisters Brothers il Gran Premio della Giuria.
Resta la miglior attrice. Mica facile: in un Concorso con una sola regista donna abbondavano in compenso le storie femminili. Il Leone d’Oro a Lanthimos esclude altri premi, quindi passo la Coppa Volpi alla Claire Foy di Il primo uomo, di un’incollatura sulla tripla Tilda Swinton di Suspiria e sulla Juli Jakab del film di Nemes. Non credo che quest’ultima sia abbastanza giovane per il premio Mastroianni (ha 30 anni), ma nel caso la recuperiamo così.
I miei Leoni sono questi, quelli della Giuria – lo specifico – penso saranno molto diversi (punto su Reygadas, Minervini, Kent, Cuaròn, Schnabel, Lanthimos, Tsukamoto).
Domani il verdetto.