Premessa: Annientamento è da ieri disponibile su Netflix. Si tratta di un film di fantascienza incentrato sulla spedizione di quattro scienziate e una militare in un territorio contaminato da una minaccia ambientale di origine aliena, che muta le forme di flora e fauna e agisce anche sugli esseri umani. Una di loro è la moglie di un altro soldato che ha partecipato alla spedizione precedente ed è tornato malato e incapace di esprimere emozioni. Vuole sapere cos’è accaduto al marito.
Quanto segue, più che una recensione, è un racconto, che contiene spoiler tanto sul film quanto sul libro. Lettore avvisato…
Giugno 2016: un minivan si fa strada nella campagna inglese. Siamo usciti dal centro di Londra da meno di un’ora e abbiamo da poco lasciato l’autostrada, infilando una stradina larga a stento da far passare l’auto. Un po’ alla volta la vegetazione si alza, nascondendo il profilo di una scuola privata, fallita e abbandonata da quasi dieci anni. Le pareti di mattoni – la mensa, la palestra, le aule -, attaccate dai rampicanti, nascondono corridoi abitati un tempo da professori e rappresentanti, e ora da una fauna incerta e spaventata. Qui si sta girando Annientamento, il film di Alex Garland tratto dal primo romanzo della trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer, che ho finito di leggere la settimana prima. In Italia è edita da Einaudi con delle suggestive copertine disegnate da Lorenzo Ceccotti.
Nel corso della giornata si gira una scena dentro una piscina svuotata, ma visitiamo anche la grande sala dove la spedizione composta dalle cinque donne scopre il filmato lasciato dal gruppo che le ha precedute. Sedie scheletriche sono rovesciate sopra i tavoli e, oltre le grandi porte-finestre, alti cespugli fioriti lasciano passare ritagli di luce estiva, incongrua rispetto al cielo grigio sotto cui siamo arrivati. Capire dove finisca la natura e inizi la scenografia è un’impresa.
Ci raggiungono i produttori Andrew Macdonald e Allon Reich che, scopro, non sono mai andati oltre il primo libro (non mi è nemmeno chiaro se abbiano letto quello), tanto che mi diverto a svelargli l’identità della creatura che vive nella Torre (Torre che in realtà, come sa chi ha letto il bestseller, è un pozzo). Più tardi farò una chiacchierata simile con la responsabile dei dialoghi, che gira con una copia dello script piena di note sottobraccio e tuttavia mi fa un paio di domande sul destino ultimo dei personaggi.
Ci spostiamo. Poco oltre una doppia fila di vetri e un corridoio pieno di cavi, le macchine per il fumo calano una nebbia sottile nel ventre della piscina in cui entrano le cinque attrici, guidate da Natalie Portman e Jennifer Jason Leigh. Alex Garland le guarda da dietro il monitor: indossa un paio di Nike verdi e brillanti che sembrano una specie di concessione al mood generale della storia.
All’estremità alla mia sinistra, al centro tra le due scalette, le cinque donne osservano la scultura di un uomo che pare essere esploso e successivamente trasformatosi in una pianta, o in un grosso fungo. In seguito ci porteranno a vedere da vicino questa installazione di gomma e silicone, così poco credibile dal vero, ma destinata ad essere “ripassata” in digitale in post produzione. L’impressione generale è di un film destinato a tradire la natura inafferrabile e vagamente new age del romanzo, in favore di un classico “horror con creature”, diciamo un Alien tra i boschi. È proprio Macdonald a confessarmi che “Sì, le creature ci saranno, ma non lo definirei un monster movie”.
Ieri sera ho visto finalmente il film e stamattina ho provato a scrivere una recensione, senza convinzione. Credo che esprimere un parere di una qualche utilità per uno spettatore che affronta il film senza saperne nulla sia fuori dalla mia portata. Dodici ore dopo non so ancora se mi sia piaciuto. I libri (amatissimo il primo, molto meno gli atri), la set visit, le chiacchiere con chi l’ha finanziato, l’insofferenza spesa a priori per le modifiche al racconto, l’attesa per l’uscita in sala, la scoperta improvvisa della sua destinazione su Netflix e quindi l’impossibilità di vederlo su grande schermo… Come posso essere affidabile?
Metto in fila alcune considerazioni.
1) Il senso generale del libro è rispettato dal film. Sulla Terra esplode un “tumore vegetale” di origine sconosciuta. Non esiste alcuna forza maligna, ma solo una modifica dell’equilibrio della natura, che sconvolge il destino delle creature del pianeta e tutti i rapporti di forza. L’idea è bellissima, e resiste: raccontare la malattia (ma anche l’invecchiamento) come una mutazione naturale dell’organismo, che non merita paura né comporta opposizione.
2) Ogni riduzione è un impoverimento, e questo in particolare per me è molto doloroso. Il libro inizia già dentro l’Area X con la discesa nella Torre – Torre che si trova molto lontano dal faro, e non sotto di esso. Dall’Area X VanderMeer non esce praticamente mai, rifiutandosi di dare coordinate, anzi facendo il possibile per eliminare le poche che potrebbe offrire. Le protagoniste della spedizione ad esempio non hanno nome, ma solo cariche scientifiche: l’antropologa, la biologa, la psicologa, la topografa, il medico. Nel film non c’è inoltre traccia della creatura – quella di cui parlavo sopra – che incide nella pareti vive del pozzo una macabra filastrocca senza senso. Il finale, esplosivo e consolatorio, per me è imperdonabile: mette un punto, ipotizza una guarigione, quando tutto il discorso di VanderMeer riguarda invece l’infinito e inesorabile cambiamento, e la sua accettazione, che è poi il titolo del romanzo finale della trilogia. Si perde infine il doppio significato del titolo: nel libro la psicologa opera una forma di ipnosi sulle compagne e adopera parole chiave per controllarle: “annientamento” è quella che le induce al suicidio.
3) La qualità dello sguardo di Garland non si discute. Direi che due film come Ex-Machina e Annientamento bastano per diventare una prova. Assieme a Villeneuve, è l’autore sci-fi più rilevante in circolazione. In questo ambito il film è, con Arrival, la cosa più interessante vista negli ultimi due anni. Per questo non averlo potuto vedere su grande schermo in Italia è un peccato, nonostante questi “salvataggi” di Netflix siano destinati ad essere sempre più frequenti nel caso di prodotti ambiziosi e inclassificabili.
4) È strano come la forma di coraggio e quella di timore esercitate nel mettere assieme questo film rischino di annullarsi: non è mainstream, ma non è nemmeno sperimentale e straniante quanto avrebbe potuto, quanto lo è il lavoro di VanderMeer. Sono curioso di sapere quanto gradimento saprà intercettare. In sala sarebbe stato probabilmente un disastro. Forse se il film fosse nato dentro Netflix da principio, e non solo acquisito, Garland avrebbe fatto scelte di scrittura ancora più difficili più fedeli al romanzo.
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