Le avventure del Barone di Münchausen
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Le avventure del Barone di Münchausen

Le avventure del Barone di Münchausen

«Devi immaginare di raccontare una storia a un bambino e far scorrere sul manifesto tutti gli elementi del racconto».

Fu questa la richiesta precisa del produttore quando nel 1988 commissionò al pittore Renato Casaro, per il mercato inglese (acquisito poi anche dal mercato italiano), il manifesto dell’opera di Terry Gilliam, Le avventure del barone di Münchausen. «Ero divertito nel raccontare questa commedia», confida il maestro cartellonista, «c’erano tanti elementi su cui potevo sbizzarrirmi. L’idea di base di questo poster era quello di giocare sul movimento del barone, che faceva un inchino al pubblico tenendo una rosa tra i denti. Facendo ruotare il braccio, con il cappello in mano, lasciava una scia, all’interno della quale si sviluppava tutto il racconto.

Questo gesto circolare creava un effetto dinamico». I personaggi secondari e alcune scene del film erano dipinti in versione rimpicciolita per lasciare spazio ai big. «In effetti», spiega Casaro, «lo spazio di lavoro non era tantissimo, dovevo decidere a chi dare più importanza: sicuramente a Robin Williams che interpretava il re della Luna e a una giovanissima Uma Thurman, appena diciottenne, che nella pellicola appariva soprattutto come la Venere di Botticelli. Non potevo poi tralasciare una delle scene clou del film, che era anche uno dei racconti inverosimili del vero barone di Münchausen, alla cui vita la pellicola era ispirata: lui che volava in cielo a cavallo di una palla di cannone!». Casaro dovette inserire nel manifesto anche un elemento che per i bambini sarebbe apparso spaventoso, il personaggio della morte: sarebbe stato un segnale soprattutto per i genitori che avrebbero dovuto accompagnare i figli più piccoli al cinema.

«Paradossalmente», racconta Casaro, «sul set quel pupazzo dello scheletro alato con la falce era diventato quasi una mascotte: tutti volevano fare una foto e la piccola protagonista, Sarah Polley, non faceva che giocarci. Altro che paura!».

© Renato Casaro (1)

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