Salto nel buio
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Salto nel buio

Salto nel buio

Gli elementi erano quelli tipici dei film di fantascienza anni ’80, dove lo humor di quel periodo si mixava ad uno sforzo creativo per sorprendere a tutti i costi lo spettatore.
Salto nel buio, diventato un cult movie per gli amanti del genere fantascientifico e non solo, arrivava nelle sale italiane nel dicembre del 1987 e partiva già vincitore sulla carta: il film era prodotto da Steven Spielberg e la regia era affidata a Joe Dante. Il pittore Renato Casaro venne contattato per realizzare il manifesto internazionale del film (titolo originale Innerspace): «Partiamo da un dato importante», ricorda il maestro cartellonista, «il film usciva nel periodo di Natale, i bambini e le famiglie al completo sarebbero corse al cinema a vederlo, era necessario, dunque, rendere il manifesto in qualche modo magico e attraente, soprattutto perché i bimbi avevano già conosciuto Explorers e Navigator e non potevamo deluderli.
La domanda che si sarebbero posti era: ‘Perché al centro del manifesto c’è quella minuscola navicella spaziale?’». In effetti l’obiettivo era colpire con gli effetti speciali, tanto che il film vinse un Oscar l’anno successivo, ma soprattutto far rivivere a pieno le emozioni di Viaggio allucinante del 1966, film di Richard Fleischer che permise ad Isaac Asimov di dar vita all’omonimo romanzo. «Il tenente Tuck Pendleton (Dennis Quaid, Ndr) era il protagonista e quindi era in primissimo piano», spiega Casaro, «ma la sua mano era di dimensioni esagerate, proprio per evidenziare la vera protagonista di tutta la storia, la navicella appunto, che, rimpicciolitasi e con a bordo il militare, finiva all’interno del corpo di Jack Putter (Martin Short, Ndr). Anche in questo caso non mancava l’elemento femminile, ovvero Meg Ryan, che interpretava la giornalista Lydia Maxwell, con il suo sorriso e il suo look tipico di quegli anni».
A Casaro venne raccomandato soprattutto di curare al massimo il contesto del manifesto: «I colori erano quelli tipici dei film di fantascienza, il nero e il blu», spiega il pittore, «ma giocai soprattutto con quei raggi di luce: dipinti in quel modo avrebbero creato un effetto “salto nell’iperspazio”, già conosciuto a pieno con la saga di Star Wars».

© Courtesy of Renato Casaro

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