Sogni mostruosamente proibiti
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Sogni mostruosamente proibiti

Sogni mostruosamente proibiti

Dopo l’esperienza di Fantozzi contro tutti e di Fracchia la belva umana, Neri Parenti nel 1982 diresse ancora una volta Paolo Villaggio in Sogni mostruosamente proibiti, una commedia ispirata al racconto La vita segreta di Walter Mitty.

Tutti conoscevano ormai l’attore per la sua maschera tragicomica di impiegato schiacciato dai soprusi dei prepotenti e per questa pellicola, nonostante non si trattasse dell’ormai mitico “ragioniere”, venne chiesto al pittore Renato Casaro di trovare un modo per coniugare, anche sul manifesto, lo stile fantozziano alla trama che si distaccava dai racconti nati dalla penna di Villaggio.

«Paolo Coniglio, il personaggio principale del film», racconta il maestro cartellonista, «nella mia concezione doveva ricordare in tutto e per tutto Fantozzi. Approfittando di uno dei “sogni proibiti” in cui si trasformava in Superman, pensai a una gag in cui volando in aria andava a sbattere la testa. La forza del manifesto stava anche nel fatto che il dipinto poteva essere utilizzato anche a testa in giù, cosa che la produzione decise di fare in alcune versioni del poster, certamente più rare».

Casaro aveva deciso di ritrarre Villaggio in una delle sue tipiche espressioni fantozziane proprio per rimarcare quel legame col personaggio che lo aveva reso celebre, mantenendo il dipinto con un solo elemento, quel supereroe imbranato che sognava di salvare la sua amata: «Lo avevo disegnato con la bocca aperta perché si era ovviamente fatto male battendo la testa», ricorda il pittore, «ma quell’espressione avrebbe richiamato il ben più famoso “Com’è umano lei…” che Fantozzi ripeteva varie volte nei suoi film.

Ricordo ancora che anche in questo caso non fu facile chiedere a Villaggio qualche foto sul set (foto che gli avrei scattato io); la risposta era sempre pronta, tra il serio e il faceto: “Scusi, ma lei non sa che io sono ligure? Per questi fuoriscena la produzione dovrebbe pagarmi un extra, ma a lei non si può dire di no, le foto serviranno per un buon lavoro!”».

 

© Shutterstock (1), Renato Casaro (1)

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