Dopo due film ambiziosi e con una forte carica poetica come Solo gli amanti sopravvivono e Paterson, I morti non muoiono riporta il cinema di Jim Jarmusch alla dimensione della barzelletta surreale, ha molte più cose in comune con il suo cinema episodico e un po’ vago degli anni ’80 e ’90 che non con i lavori più recenti.
Gli zombie di Jarmusch, a differenza dei vampiri, non hanno alcuna connotazione romantica, ne sono anzi in un certo senso la negazione, sono creature indefinitamente morte dove i vampiri sono invece indefinitamente vivi, di conseguenza qui la creatura soprannaturale rappresenta non l’autore e il suo mondo ma il suo opposto, tutto quello in cui non si riconosce e che ritiene si debba combattere.
In I morti non muoiono l’epidemia è scatenata dallo sfruttamento capitalistico delle risorse naturali, qui rappresentato dal polar fracking (le trivellazioni della calotta polare per estrarre materiali combustili) che avrebbe comportato “uno spostamento dell’asse terrestre”, come la televisione e i personaggi del film ripetono continuamente. Da qui una serie di fenomeni inquietanti, giornate in cui il tramonto non arriva mai e altre in cui fa subito notte, animali domestici che aggrediscono i padroni e, appunto, il risveglio “romeriano” dei morti. Non c’è in tutto questo alcun mistero, il mondo del film è un mondo in cui tutti i personaggi sono consapevoli di ciò che è accaduto e di ciò che sta accadendo, sanno cosa sono gli zombie, sanno cosa rappresentano (il consumismo sfrenato, ovviamente) e sanno pure come ucciderli (“kill the head” è la battuta che pronunciano più spesso).
Tutta questa consapevolezza trasforma il film in una meta-film, nel senso che il cinema del passato è la sua premessa e il suo contesto, cioè è dichiarato che questa storia non potrebbe esistere se non sullo schermo di una sala. Addirittura il personaggio di Adam Driver, l’agente Peterson (notare l’assonanza con “Paterson”, di cui Driver è protagonista), fa continui riferimenti alla sceneggiatura di I morti non muoiono, al suo finale, alla sua colonna sonora. E ha un portachiavi a forma di astronave imperiale di Star Wars… Ma i riferimenti cinefili sono tantissimi, c’è perfino un elaborato omaggio a Pulp Fiction.
Al tempo stesso questa consapevolezza paradossale è l’espressione dell’idea politica del film, ovvero che oggi anche i progressisti più illuminati sono a conoscenza del disastro sociale e ambientale ma se ne sono in un certo senso fatti una ragione, lo affrontano con pragmatismo e la catatonica rassegnazione che attraversa questa storia di poliziotti placidi, sopraffatti dal soprannaturale.
Non è insomma che tutto l’impianto tragicomico non abbia le sue ragioni ed efficaci momenti di ironia (Bill Murray è pur sempre Bill Murray) ma è difficile non perdere la pazienza quando Jarmusch sembra usare il cinema come un foglio di carta bianco su cui improvvisare schizzi a mano libera durante una tediosa riunione aziendale.
Per esempio c’è una sottotrama sulla misteriosa titolare di una agenzia di pompe funebri (Tilda Swinton) che è anche una formidabile samurai e alla fine (spoiler) viene prelevata da un astronave aliena (fine spoiler) che davvero non si sa come prendere. Ma perché? I topi stanno abbandonando la nave?
Quando si parla di autori che possono permettersi di fare praticamente qualunque cosa, si intende proprio un film come questo.
LE FOTO DEL CAST SUL RED CARPET DI CANNES
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