Far East Festival 2020, le recensioni. Seconda parte
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Far East Festival 2020, le recensioni. Seconda parte

Fantasy, commedie romantiche, noir e realismo magico: altre cinque recensioni dei film selezionati dal Far East Film Festival 2020, per quest'anno eccezionalmente tutto online

Far East Festival 2020, le recensioni. Seconda parte

Fantasy, commedie romantiche, noir e realismo magico: altre cinque recensioni dei film selezionati dal Far East Film Festival 2020, per quest'anno eccezionalmente tutto online

Detention di John Hsu e altre cinque recensioni dal Far East Film Festival 2020

Prosegue la ventesima edizione del Far East Film Festival 2020, la prima integralmente accessibile online, acquistando l’accredito virtuale (a partire da 9,90 euro). Dopo una prima panoramica critica su alcuni film sudcoreani della selezione, e sull’horror indonesiano Impetigore (clicca qui per leggere le cinque brevi recensioni), stavolta spaziamo tra generi e nazionalità: dal noir al fantasy, fino alla commedia romantica, passando per Giappone, Taiwan e Hong Kong.

DETENTION (Taiwan, 2019)
di John Hsu
con Gingle Wang e Fu Meng-po
horror
Voto: 3/5

1962, Taiwan: per i dissidenti politici c’è la legge marziale. Due insegnanti e alcuni studenti di liceo tentano di salvare i libri messi al bando copiandoli a mano clandestinamente. Ma, quando uno dei due insegnanti sparisce, l’intera scuola si trasforma in un relitto, un edificio fantasma abitato da mostri e spettri. Tratto da un videogioco, Detention è un fanta-horror che ha molti punti in comune con Silent Hill, per la dimensione parallela – da incubo – in cui si svolgono le avventure dei due protagonisti. Sogno e flashback si rincorrono, cercando di far emergere la realtà drammatica del dato storico. Narrazione contorta, ambientazione suggestiva, finale forse prevedibile, ma il film c’è. (Giorgio Viaro)

CRAZY ROMANCE (Corea del Sud, 2019)
di Kim Han-kyul
con Kim Rae-won e Gong Hyo-jin
commedia romantica
Voto: 2,5/5

Lui è stato mollato quasi sull’altare, lei è stata tradita dal fidanzato. Si ritrovano negli uffici dell’agenzia pubblicitaria in cui lei è appena stata assunta e lui comanda, e cominciano a scontrarsi, tra malcelata attrazione e furibonde litigate. Galeotto sarà l’alcool. Le commedie popolari che funzionano agiscono prima di tutto come lente sociale, scontornando rapporti lavorativi e sentimentali. Molto di Crazy Romance finisce lost in translation, ma non il ritratto di un contesto borghese estremamente conservatore per gli standard occidentali, che la protagonista combatte con orgoglio non convenzionale. Un film meno banale di quel che può sembrare dalla sinossi. (Giorgio Viaro)

ONE NIGHT (Giappone, 2019)
di Kazuya Shiraishi
con Takeru Sato, Ryôhei Suzuki e Mayu Matsuoka
drammatico
voto: 2/5

Un’anziana donna fa sapere ai tre figli che ha ucciso il loro padre con il taxi dell’azienda di famiglia e si costituisce. Vuole liberarli della sua violenza e donargli un futuro diverso. Quindici anni dopo la madre ritorna: uno di loro lavora per un magazine porno, il maggiore nell’azienda di famiglia, la figlia minore è un’alcolista. Uno spunto drammaturgico estremo – ma ingombrante – per un film interdetto, sospeso tra la ricerca di un respiro (e una misura tragica) e un’ispirazione spesso in apnea. I personaggi in compenso sono verosimili, nonostante un gioco dei contrasti rigido e pretestuoso, disfunzionale più per posa che per necessità. Se si sceglie però di parlare di famiglie borderline le ultime due Palme d’oro asiatiche, Un affare di famiglia e Parasite, sono dei modelli rispetto ai quali sfigurare è un attimo. (Davide Stanzione)

CHANGFENG TOWN (Cina, 2019)
di Wang Jing (II)
con Daiwei Song, Ma Jia Ban, Xidi Wei, Gang Chen e Wenqing Luo
drammatico
voto: 2,5/5

A Changfeng Town si intrecciano le vicende di alcuni personaggi: un dentista e suo figlio; un cassiere del cinema alle prese con un amore infelice; un uomo paralizzato, Xi-Shan, inevitabilmente solitario. Nel frattempo dei ragazzi si avvicinano a una maturità impalpabile e ancora tutta da conquistare. Romanzo di formazione cinéphile abbastanza canonico, diretto da un allievo del maestro cinese Jia Zhangke, per gli amanti della sala in crisi d’astinenza vederlo di questi tempi può essere un balsamo insieme crudele e nostalgico. Ma dietro il paravento della malinconia non c’è molta sostanza e l’idea di cinefilia “da carta da parati”, con riferimenti a Fellini, Truffaut e ai wuxia di King Hu, è sorpassata e scolastica. Spingendo di più sul realismo magico (siamo in una città immaginaria del Sud della Cina) si sarebbe forse evitato di più il già visto. (Davide Stanzione)

MY PRINCE EDWARD (Hong Kong, 2019)
di Norris Wong
con Stephy Tang, Pak Hon Chu, Hee Ching Paw, Hailey Chan, So-Ying Hui e Eman Lam
drammatico
voto: 3,5/5

Una ragazza (Stephy Tang) è divisa tra un fidanzato inetto e mammone e un marito cinese sposato solo per avere la cittadinanza. Una dramedy in piena regola che, partendo dal presupposto che non esista nulla di più provocatorio della leggerezza, riflette sull’insostenibilità di certo opportunismo sociale sullo sfondo delle contraddizioni della Hong Kong di oggi. Il solito film politico, dunque? Nient’affatto, perché a tenere banco sono soprattutto i grotteschi inciampi sentimentali della generazione Z e la regista, esordiente da tenere decisamente d’occhio in futuro, gioca ad aggiornare il minimalismo di Hou Hsiao-hsien con occhio da postmillennial. I poster cinematografici di Jarmusch e Gondry a questo giro non sono semplice tappezzeria, ma presa di posizione generazionale (come certe scene in esterni, girate alla Sofia Coppola). (Davide Stanzione)

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