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William Friedkin su La La Land: «Ho visto il futuro del cinema americano e si chiama Damien Chazelle. A 31 anni ha dimostrato di essere uno storyteller magistrale, in totale controllo delle sue creazioni, con l'abilità di saper stupire il pubblico. In un'industria dominata dalla CGI, i suoi film hanno un'impronta artigianale inconfondibile e rara che genera un'esperienza emozionale unica. "La La Land" ci ricorda i musical classici, rivelandosi un lavoro originale e fondamentale per i nostri tempi. Qualunque sarà il futuro del cinema americano, Damien Chazelle contribuirà a formarlo».
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Ron Howard su Patriots Day: «In mani meno esperte e sensibili, Patriots Day avrebbe perso l'intensità e la sincerità che Peter Berg è solito dare ai suoi lavori. È un film che traccia un ritratto autentico e onesto dei cittadini di Boston e di come, insieme, sono riusciti a superare le avversità, in questo caso dovute all'attentato alla Maratona. Il vero spettacolo è come Peter sia riuscito a rivelare il lato più buono dell'animo umano in un momento così terribile».
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Scott Cooper su Arrival: «Inquietante. Enigmatico. Abilmente costruito. Queste sono solo alcune delle mie impressioni sul toccante e filosofico lavoro di Villeneuve. Quando un regista si muove con disinvoltura all’interno di un genere cinematografico e porta originalità, ambizione e sincerità, allora quel regista ha raggiunto qualcosa di unico: un momento di definizione. Arrival parla di connessione, del nostro bisogno di maggiore interazione umana a dispetto di quella elettronica. È un film diretto da un maestro che è riuscito in qualcosa di epico: generare un antidoto ai tempi pessimistici in cui viviamo».
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Xavier Dolan su Jackie: «Non riesco a pensare a un film recente che mi abbia riempito di estasi come Jackie. Artisticamente mi ha intimidito e stupito. Il film di Larraìn è organizzato, organico e libero allo stesso tempo. Natalie Portman si supera sfoggiando grande stile e sensibilità, ridefinendo la recitazione moderna. Jackie mi ha motivato a migliorarmi, a creare qualcosa di ancora più innovativo, che lasci il segno. Ho pianto diverse volte durante la visione, ma solo in tarda notte ho capito che erano lacrime di meraviglia, la stessa che mi ha lasciato il lavoro di così grandi artisti».
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M. Night Shyamalan su Hacksaw Ridge: «Gli artisti che ammiro sono fedeli a se stessi. In Hacksaw Ridge c'è tutto Mel Gibson. Non ci sono mezze misure. 4 o 5 scene di battaglia sono shockanti e iconiche e Mel in queste sequenze punta dritto alla giugulare, come ha sempre fatto. Il film è l'ennesimo marchio della sua autorità e sensibilità. L'arte richiede equilibrio ed è qui che Mel eccelle: ci commuove con una canzone per scuoterci con un colpo di pistola un minuto dopo. È un vulcano di emozioni e io lo so bene, avendolo diretto (in Signs, ndr)».
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James L. Brooks su Animali notturni: «Tom Ford è bravo. Davvero bravo. In Animali notturni parte dal mondo dell'arte di Los Angeles per analizzare al microscopio l'animo umano. Un thriller violento che nelle mani di Ford diventa un classico istantaneo del noir, meraviglioso da guardare».
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James Mangold su Hell or High Water: «Il film di David Mackenzie è un crime Western con interpretazioni toccanti e una regia magistrale. Mackenzie ci trasporta sotto la pelle dei personaggi, ci svela le loro paure e i loro segreti. Non ci sono buoni o cattivi. Ben Foster è geniale e la performance di Chris Pine una rivelazione».
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Jon Favreau su Il diritto di contare (Hidden Figures): «Non immaginavo che la storia mi avrebbe coinvolto così tanto. Mi ha catturato dall'inizio alla fine, raccontando una vicenda che non conoscevo. Il film è la fotografia di un momento importantissimo per la nostra storia e cast, musica, sceneggiatura ed effetti visivi lavorano insieme per trasformare ciò che potrebbe sembrare una lezione di storia in un'analisi dei problemi che tormentano la nostra società ancora oggi. Lo guarderò di nuovo, ma stavolta coi miei figli».
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Paul Feig su The Edge of Seventeen: «Il primo film da regista di Kelly Fremon Craig è tra i migliori esordi che abbia mai visto. Emozionante, vero e sicuro. (…) Regia e scrittura sono sempre al servizio di storia e personaggi; la camera coglie ogni tipo di emozione sui loro volti, coinvolgendoci nei loro pensieri e nelle paure. Non è il lavoro di un regista che mira a essere la star, a dispetto dei personaggi, ma quello di un regista che rispetta la storia che sta raccontando. Non vedo l’ora di vedere il suo prossimo film».
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Simon Curtis su Florence: «Per me, Stephen Frears è un'ispirazione, poiché fa ciò che un grande regista dovrebbe fare: trova il tono giusto per ogni storia e convince gli attori a tirar fuori il meglio, concedendogli lo spazio di cui hanno bisogno. Non è un mistero se le preformance nei suoi film sono sempre di altissimo livello».
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Kenny Leon su Barriere: «Il lavoro da regista di Denzel Washington è magistrale. Adatta l'opera teatrale di August Wilson muovendo la camera in modo non invadente. Il film è meraviglioso e non interferisce mai con la musicalità delle parole della piece. Washington ha creato un mondo dal tono autentico, serio, spirituale, ma anche divertente e molto umano».
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Bennett Miller su Manchester by the Sea: «È un film figlio di una visione personale e di collaborazioni genuine. Mi ha ispirato ed è uno di quei lavori che mi spinge, come filmmaker, ad andare avanti. È un lavoro umano, solido, sensibile ed empatico e lo percepisci. Come si realizza un film così bello? Sembra frutto di una profonda ricerca da parte di un grande regista e un cast straordinario».
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Paul Haggis su Julieta: «Pedro Almodovar ha girato molti film, per questo dire che Julieta - il suo 20mo - è tra i migliori vuol dire tanto. La fotografia, la colonna sonora, la scenografia e il montaggio contribuiscono a realizzare un film emozionante, che esplora il rapporto tra madri e figlie. Nessuno scrive ruoli femminili come Almodovar».
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Phillip Noyce su Il diritto di uccidere: «Il regista Gavin Hood usa il montaggio in modo straordinario. Non c’è un pezzo fuori posto e Gavin mostra grande abilità nell’esplorare le varie situazioni della storia secondo diversi e molteplici punti di vista. "Il diritto di uccidere" è un escalation di pressione e i personaggi ci invitano a prendere la nostra posizione morale sulla scala della giustizia».
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Jane Campion su Lion: «Il segreto di Garth (Davis, il regista, ndr.) è che lui è veramente magico. Vede cose che noi non riusciamo a vedere e conosce il mondo in modo diverso dagli altri perché possiede un'acuta sensibilità. È un dono che si riflette nel suo lavoro migliore, che fa trattenere il respiro da quanto è meraviglioso».
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Tom McCarthy su Loving: «Con Loving, Jeff Nichols ha realizzato qualcosa di straordinario, o quasi. È un film che sfugge al sentimentalismo e al sensazionalismo, presentando i personaggi in modo onesto e vero. Il film è una delicata e profonda riflessione sull'impatto che ciascuno di noi può avere sul nostro governo. Jeff riesce a immergere il pubblico in una storia che pur essendo ambientata nel passato dà la sensazione di essere molto attuale. E questa è una sensazione che si prova nettamente guardando il film».
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Michael Mann su Moonlight: «Ha un forza e una bellezza trascendenti. È vera arte. Il primo, brillante lavoro di un grande regista. È un film molto profondo, che ci immerge nella storia e nel mondo del protagonista, un bambino di dieci anni che vive a Liberty City, quartiere povero di Miami e unico mondo che conosce».
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Robert Benton su L'eccezione alla regola (Rules Don't Apply): «È un film straordinario. Racconta la storia di due giovani innocenti nella Hollywood degli anni '50 e al tempo stesso il ritratto di un uomo (Howard Hughes, ndr) di incredibile potere ma che sta perdendo il senso della realtà. Commovente, divertente, folle, e nemmeno per un secondo sentimentale o stucchevole. È un film davvero originale, girato da Warren Beatty, uno dei nostri più grandi registi».
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Susanne Bier su Vi presento Toni Erdmann: «Un film divertentissimo e allo stesso tempo triste. Ogni volta che diventa sempre più ironico, è anche più doloroso da guardare. È la storia di un padre e sua figlia, ma soprattutto di una donna incapace di essere felice. Il padre questo lo capisce, lei no. A volte la visione intimidisce, ma è così che deve essere. Mi ha estasiato: è un film coraggioso e una vera opera d'arte».
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Jill Soloway su American Honey: «Ho scelto di diventare regista grazie ad Andrea Arnold. (…) Lei cerca sempre di inventare qualcosa. È come un’amica ubriaca che da una parte odi perché ti costringe a fare le cose più folli, e dall’altra ami perché standole accanto, in quel folle viaggio che è il suo cinema, percepisci la vita nel modo più vivo possibile. American Honey è questo: una ricerca costante e un forte desiderio di emozioni, capace di farti prendere una pausa, seppur temporanea, da quell’infernale melanconia che è la vita».
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Jonathan Dayton e Valerie Faris su 20th Century Women: «Mike Mills (il regista, ndr), che conosciamo da quasi vent'anni ormai, riesce sempre a far sentire la sua voce attraverso i suoi personaggi, che hanno tanto da condividere con il pubblico: sono anticonvenzionali, liberi, ribelli. 20th Century Women è il lavoro più complesso e intimo di Mike, figlio del suo rapporto con la madre. Il fatto che giri un film ogni cinque anni non è una mancanza: le sue opere non sono pre-fabbricate, ma crescono e sono frutto delle esperienze di una vita e del duro lavoro».