Quando Hollywood fallisce: i 10 peggiori remake americani di acclamati film stranieri
Simona Carradori
OldBoy – Realizzare un film che fosse all’altezza del capolavoro coreano di Park Chan-Wook non era cosa facile, e per questo va riconosciuta una certa dose di coraggio a Spike Lee che ha scelto di cimentarsi nell’impresa, fallendo. Non che non si potesse fare. Non che fosse impossibile. Ma Lee ha realizzato esattamente quel tipo di remake americano che tutti si aspettavano e che per questo nessuno voleva. La potenza visiva della regia di Park Chan-Wook non era replicabile, ma lo erano la viscerale sete di vendetta del protagonista, l’amarezza della sua vicenda e l’umanità che porta vittima e carnefice a scambiarsi vicendevolmente i ruoli. Purtroppo, il tutto rimane terribilmente piatto nella versione del 2013, non rendendo affatto giustizia all'opera originale.
Quarantena – Per chi non lo sapesse, il film del 2008 di John Erick Dowdle è il remake dell’ottimo horror spagnolo REC, diretto da Jaume Balaguero e Paco Plaza nel 2007. Esatto, la versione americana è uscita esattamente l'anno dopo: una scelta quantomeno singolare, ma comunque, non la peggiore. Il film, infatti, è praticamente identico all’originale spagnolo: una sorta di copia e incolla di dialoghi, scene, ambientazioni e personaggi che differisce da REC solamente per i volti degli attori e una sola “grande” differenza, la vicenda si svolge questa volta a Los Angeles. Non ne sentivamo il bisogno.
Solaris – Anche in questo caso ci si chiede: perché? Perché realizzare il remake di un film che traeva la sua energia dall’esistenzialismo, dall’introspezione, dalle immagini evocative e soprattutto dai ritmi della regia di Tarkovsky, privandolo proprio dei suoi punti forti? Con il suo lavoro del 2002, Soderbergh tenta di rimanere all’altezza del predecessore, provando anche saggiamente a prendere strade differenti, ma sacrifica troppo e troppo in fretta, ed è inutile dire che il risultato ne risente terribilmente, in particolar modo nella carenza di atmosfere destabilizzanti e visionarie. Sinceramente, un remake davvero azzardato.
The Wicker Man – Il film del 2006 diretto da Neil LaBute e con protagonista Nicolas Cage non poteva essere un remake peggiore di quello che è stato, e c’è da dire che ci vuole impegno per rendere banale a tal punto un soggetto come quello del film del 1973. Inutile dire che l’interpretazione del protagonista è diventata bersaglio di meme e prese in giro sul web, pur essendo in verità l’ultimo dei problemi del film. I punti forti dell’originale - come la componente folkloristica data da canti, balli e rituali tipici - sono presenti in maniera decisamente limitata, e in generale la tensione crescente che lo aveva caratterizzato, nel lavoro di LaBute scompare magicamente. Non a caso questo remake ha ricevuto ben 5 nomination ai Razzie Awards! Bene ma non benissimo, ne meritava di più.
Martyrs – L’horror del 2015 diretto dai Goetz Brothers è il remake dell’omonimo film francese di Pascal Laugier, che nel 2008 ha letteralmente saputo distruggere gli spettatori con un abile mix di violenza e follia mistica impossibile da dimenticare. E il momento in cui se ne sente di più la mancanza è proprio durante la visione della sua versione americana, che lo ha trasformato – come era prevedibile – in un banalissimo torture porn che niente ha a che vedere con il suo predecessore, svuotato di tutto il suo significato e dell’amarezza che lo contraddistingue, in particolare nella scena finale. Un momento, forse l’amarezza rimane.
Nine – Pur non basandosi direttamente sull’8 ½ di Federico Fellini, ma sul musical di Broadway ad esso ispirato, il film musicale di Rob Marshall è – a conti fatti – un remake del classico nostrano. Giustamente amato in patria e nel resto del mondo, quello di Fellini è stato un film visionario, che raccontava l’estro creativo del suo autore e si ispirava direttamente ad esso. Pur volendo omaggiare il capolavoro del 1963 tentando in maniera piuttosto goffa di mantenerne “l’italianità”, il musical del 2009 crea una sorta di universo stereotipato e abitato da protagonisti che hanno ben poco a che fare con i caratteristici personaggi felliniani e – più in generale – con il mood di 8½. Peccato, perché il cast pareva promettere bene.
Last Kiss – A rendere interessante il film corale di Gabriele Muccino erano soprattutto la tensione narrativa e l’idea di affrontare tematiche sentimentali e drammi amorosi attraverso un'atmosfera quasi da thriller. Una scelta stilistica che nel panorama cinematografico italiano e non, lo ha consacrato come qualcosa di più che un semplice dramma sentimentale, ma che è soprattutto ponderata ed essenziale, considerando che il soggetto, di per sé, non brillerebbe certo per originalità. E nemmeno a farlo apposta – o sì -, è proprio il soggetto che il remake di Tony Goldwyn decide di mantenere del film di Muccino, nient’altro. Trasformandosi quindi in qualcosa di tremendamente noioso.
The Eye – Nel 2002 l’horror dei fratelli Pang è stato in grado di terrorizzare il pubblico in una maniera straordinaria: senza violenza, senza sangue, senza jumpscare. Solo con la forza di un soggetto spaventoso e raccontato elegantemente da una regia delicata, che riesce a sfruttare suoni da brivido e immagini sbiadite per creare una suspense che con il passare del tempo si fa sempre più soffocante. Insomma, il contrario del tipico horror hollywoodiano fatto di ritmi serrati e scene che fanno continuamente saltare dalla sedia. Il remake del 2008 con Jessica Alba tenta di discostarsi da tutto ciò, ma il risultato – nonostante tutto - è comunque scadente, e delle agghiaccianti atmosfere dell’originale non rimane neanche l’ombra.
Swept Away – Con un misero punteggio del 5% su Rotten Tomatoes, il film di Guy Ritchie è forse il peggiore remake statunitense di un film italiano mai realizzato. L’originale di Lina Wertmüller, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, non era solo una semplice storia d’amore, ma presentava numerosi e importanti riferimenti politici che mettevano in continua contrapposizione comunismo e capitalismo, rendendolo un film dall’intento satirico e molto più sfaccettato di quel che possa sembrare. Come prevedibile, la versione americana ha stravolto completamente la visione della regista, trasformandola in una storia d’amore come tante altre raccontate al cinema. Inutile dire che la Wertmüller non ha gradito, e noi con lei.
City of Angels – Il film del 1998 Brad Silberling è il remake de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, ambientato però a Los Angeles e con protagonisti Nicolas Cage e Meg Ryan. Tuttavia, ciò che li differenzia è sostanzialmente l’eccessiva semplificazione di concetti e dialoghi, che nell’originale del 1987 erano espressi in maniera decisamente più criptica, sfiorando a tratti la poesia. Riflessioni simboliche e spirituali fanno spazio a qualcosa di più concreto e soprattutto svuotato dai significati attribuiti da Wenders, insomma, più alla portata di quello spettatore che non ha intenzione di impegnarsi troppo nella visione. Un grandissimo no.
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