Giffoni 2019 Alessandro Borghi: «L'America? Per ora no, amo troppo l'Italia»
telegram

Giffoni 2019, Alessandro Borghi: «L’America? Per ora no, amo troppo l’Italia»

A Giffoni 2019 Alessandro Borghi incontra i ragazzi: da Suburra a Sulla mia pelle, da Diavoli a Il Primo Re, l'attore ripercorre i suoi grandi successi

Giffoni 2019, Alessandro Borghi: «L’America? Per ora no, amo troppo l’Italia»

A Giffoni 2019 Alessandro Borghi incontra i ragazzi: da Suburra a Sulla mia pelle, da Diavoli a Il Primo Re, l'attore ripercorre i suoi grandi successi

Nella settima giornata della 49° edizione torna a Giffoni 2019 Alessandro Borghi, amatissimo attore italiano per il quale i ragazzi si sono radunati in massa nei vari incontri previsti. Sempre schietto e sincero, Borghi parla dei suoi successi come delle difficoltà che ha incontrato, delle possibilità del cinema così come di ciò che ha ostacolato alcune sue produzioni, su tutte il film su Stefano Cucchi Sulla mia pelle. E soprattutto svela che, nonostante arrivino offerte anche dall’America, il suo cuore per il momento rimane in Italia.

Ecco alcune tra le più interessanti curiosità emerse nell’incontro con Giffoni 2019 Alessandro Borghi.

Ciao Alessandro, per te è la seconda volta a Giffoni. Cosa ti piace di questo festival?

«Sono venuto a Giffoni tre anni fa e lo adoro. È un festival completamente diverso da tutti gli altri perché le reazioni dei ragazzi sono spontanee e genuine, e manca quella componente un po’ glamour che caratterizza i festival del cinema. Qui gli incontri sono animati dalla reale voglia dei ragazzi di stabilire un contatto con personalità che ammirano. È proprio qualcosa di unico».

Si parla spesso di Netflix come il più grande avversario del cinema, ma il successo di Sulla mia pelle ha dimostrato piuttosto il contrario. Tu cosa ne pensi?

«Molti esercenti hanno boicottato il film perché si sentivano minacciati dal sistema di Netflix, e ci tengo a dire che ho litigato personalmente al telefono con ognuno di loro. A perderci sono stati soltanto loro, perché poi, nonostante il film fosse già su Netflix, abbiamo incassato comunque 5 milioni di euro. Tutti coloro che volevano vederlo in sala sono accorsi subito. Secondo me un vero amante della sala non rinuncia al piacere del cinema per sostituirlo con un telefonino, è impossibile. Piuttosto, quelli che non vanno al cinema perché preferiscono il divano molto probabilmente non andavano al cinema neanche prima. Non è stato certo Netflix ad aver cambiato le loro abitudini».

Il film ha avuto anche un fortissimo impatto politico. Dopo tanto tempo abbiamo avuto un nuovo caso di cinema civile, qualcosa che ha scosso le coscienze e ha inciso sul dibattito politico.

«È vero, ma è stato inaspettato, nel senso che noi abbiamo pensato a Sulla mia pelle con l’obiettivo di raccontare la storia di Stefano Cucchi nel modo più veritiero possibile, non con l’idea di dare una svolta al processo in corso. L’avvocato della famiglia mi ha detto: “siete riusciti a fare con il film quello che noi abbiamo cercato di fare in dieci anni, restituire un’immagine umana di Stefano”. Era questo il nostro obiettivo. Quello che è successo dopo è soltanto la dimostrazione del potere immenso che ha il cinema».

Ci sono altre storie dello stesso tipo che ti piacerebbe raccontare?

«Dico sempre che vorrei fare un film su Giulio Regeni ed è vero, ma il progetto probabilmente non si concretizzerà sia perché ci sono questioni diplomatiche con uno Stato estero, sia perché la famiglia ha espresso la volontà di non veder realizzati film sull’accaduto, cosa che ovviamente rispetto in tutto e per tutto. Tuttavia, ribadisco che in casi come questi il cinema potrebbe avere un grandissimo potere che è quello dell’empatia. Un film riporta in vita la persona scomparsa e la avvicina al pubblico. Chi ha visto il film su Cucchi non ha potuto fare a meno di immaginarlo come un figlio, un fratello, un amico. D’altra parte bisogna anche dire che per come vengono percepiti questi film, in Italia ci sono molte persone che non hanno interesse a realizzarli». 

Hai mai pensato di cimentarti anche con la regia?

«Più che il regista vorrei fare il produttore, e il motivo è semplice. Vorrei dare ai giovani talenti la possibilità di farsi notare, che purtroppo oggi in Italia è molto limitata in quanto si tende a cercare sempre gli stessi volti noti o nomi famosi per paura di un fiasco al box office. Io capisco che servano degli attori famosi a fare da traino, ma non è necessario che tutti i ruoli principali siano affidati a loro: fate i provini, cercate delle facce nuove! Se Sollima non avesse deciso di prendere uno sconosciuto della Garbatella per Suburra io adesso non sarei qui». 

E per quanto riguarda il futuro? Oltre l’Italia hai in ballo anche dei progetti all’estero?

«Ho un agente a Los Angeles e ogni tanto qualche progetto interessante arriva. Ma io sono innamoratissimo del mio paese e penso di avere ancora un po’ da fare qua prima di passare all’estero. Poi certo, se proprio gli americani mi vorranno non dirò mica di no… Per ora però me ne andrò in vacanza, poi tornerò sul set della terza stagione di Suburra e della seconda di Diavoli. E ci sono anche almeno tre progetti che mi interessano, ma per quelli si vedrà più avanti». 

Foto: Courtesy of Giffoni Film Festival 

© RIPRODUZIONE RISERVATA