Carismatico e affascinante, a Giffoni 2019 Stefano Accorsi ha radunato non pochi fan. Non solo i ragazzi hanno affollato la masterclass e gli incontri a lui dedicati, ma anche i loro genitori, per le sezioni Parental del festival, si sono ritrovati in prima fila per poter interagire con il famoso attore italiano.
Tantissime le domande che hanno spaziato per tutta la sua carriera: dalle collaborazioni con Ozpetek all’esperienza in teatro, da Veloce come il vento a Sorrentino, fino ad arrivare a uno sguardo al suo prossimo film, La dea fortuna, ancora con Ozpetek. E ovviamente non sono mancate le richieste di consigli per gli aspiranti registi e attori che si nascondono tra i giovanissimi giurati di Giffoni Film Festival, consigli che l’attore ha gentilmente dispensato.
Ecco alcune delle curiosità più interessanti emerse negli incontri di Giffoni 2019 Stefano Accorsi.
Hai fatto cinema, teatro e televisione. Quali caratteristiche di questi tre mezzi di espressione preferisci?
«Aggiungerei anche la pubblicità, che è un mezzo di comunicazione davvero particolare perché comporta il dover raccontare una storia in pochissimi minuti. Tra queste forme d’arte quella che trovo più misteriosa è il cinema, perché nessuno ha ancora trovato la ricetta per il film perfetto, nemmeno gli americani che fanno film da miliardi di dollari. I film sono un mistero. La televisione mi piace invece perché è un lavoro collettivo, c’è molto più confronto e lavoro di squadra nella produzione. Quanto al teatro, l’aspetto più bello è il rapporto diretto con il pubblico, il fatto che per la durata dello spettacolo tutti credono nella finzione che in fondo è generata dal tuo corpo e da come decidi di guidare il pubblico. Inoltre una performance a teatro si può migliorare col tempo, spettacolo dopo spettacolo, mentre il cinema vive di momenti effimeri che poi vengono fissati per sempre: una volta fatta la ripresa poi non potrai cambiare mai più quella scena. Il bello di questo lavoro comunque è variare, quindi invito i giovani attori a fare un po’ di tutto e a imparare le caratteristiche di ogni mezzo di comunicazione. Non si recita a teatro come si recita al cinema, non si recita al cinema come si recita in una serie e così via».
Hai mai pensato di fare il regista? E che consiglio daresti, da attore, a un giovane aspirante regista?
«Non mi sento portato e non vedo il senso di diventare l’ennesimo attore che si improvvisa regista quando ci sono già tanti registi di talento. Sono pochi gli attori che sono diventati anche grandi registi. Certo, se uno se la sente è giusto che lo faccia, ma per quanto mi riguarda mi interessa più la strada del produttore esecutivo. Ai giovani che vogliono fare quel mestiere invece direi innanzitutto che un regista non deve giudicare mai il suo attore. Può giudicare la sua performance in quel momento se ha fatto un disastro, ma non può dubitare delle sue capacità attoriali. Deve piuttosto essere suo complice, fidarsi ma allo stesso tempo sapere come guidarlo per ottenere il risultato desiderato. Non deve avere paura degli attori o di dirigere determinati tipi di scene. A un giovane che sta iniziando ora direi soprattutto: scegli bene i tuoi attori. Gli attori devono fare i provini, ma anche i registi devono farli, perché quello è il primo momento in cui il regista stabilisce un contatto con il suo futuro protagonista, creando un legame che poi sarà fondamentale sul set».
Considerata l’epoca in cui è uscito al cinema, pensi che il film Le fate ignoranti abbia contribuito a creare maggiore sensibilità in Italia sul tema dell’omosessualità?
«Mi piace pensare di sì, ma certo non ho una risposta precisa. È un film che smuove le coscienze perché non dà alcuna risposta, come tutti i film di Ozpetek non dice allo spettatore quello che deve pensare ma lascia la porta aperta a tante interpretazioni diverse. Molte persone che incontro mi dicono di essere state segnate da quel film, persone non necessariamente omosessuali, e questo è un bene perché se un film ti tocca poi rimane con te».
Tra poco uscirà il tuo nuovo film con Ozpetek, La dea fortuna. Come è stato tornare sul set con lui?
«È il nostro terzo film insieme. È interessante tornare a lavorare con lo stesso regista e vedere come siamo cambiati nel frattempo. Nel suo caso, prima cerca una storia e un’idea e ti propone il film soltanto se sa che si tratta della parte perfetta per te. In questo periodo storico è difficile scegliere quali ruoli accettare, anche perché persino quando ci sono un bravo regista e un grande cast non è detto che ci siano anche grandi incassi. Ma per me a volte l’istinto prevale sulla ragione quando si tratta di accettare un nuovo ruolo. Ci siamo visti a cena, ho letto il copione e lui mi ha detto: non diamoci troppe risposte, non è il momento di fare domande. A volte cercare soluzioni può mettere dei paletti alla creatività. Ormai manca poco, il film uscirà il 28 novembre».
La dea fortuna tratterà di una coppia omosessuale a cui vengono affidati due bambini. Come vedi questo tema?
«Secondo me la cosa bella di questo film è che nasce da un sogno di Ozpetek, non da una particolare ideologia. Semplicemente ha sognato due bambini che entravano nella sua vita. Il film racconta la storia di una coppia in crisi dopo molti anni, la cui quotidianità viene stravolta quando in casa entrano due bimbi, occasione che potrebbe rappresentare una svolta per la loro routine ormai spenta. Io penso che la famiglia sia il posto dove c’è l’amore e trovo una frase fatta l’idea che un bambino debba avere per forza una mamma e un papà. Conosco figli di coppie omosessuali e mi sembrano felicissimi quando in famiglia c’è l’amore. Il resto per me sono solo convenzioni».
Foto: Courtesy of Giffoni Film Festival
© RIPRODUZIONE RISERVATA