Fin dal primo capitolo uscito nel 1996, ci siamo subito affezionati a quei giocattoli che ricordano quelli con cui abbiamo trascorso l’infanzia. Cowboy, alieni, astronauti spaziali, dinosauri, macchinine, pupazzi componibili e tanti altri, compresa una simpatica pastorella di cui si sono perse le tracce durante il secondo episodio cinematografico. Dopo tre film e altrettante avventure in digitale, avevamo loro detto addio con un finale che aveva commosso platee di tutte le età. Andy, diventato ormai grande e in procinto di partire per il college, aveva deciso di non relegare i suoi vecchi e amati giocattoli in soffitta ma di donarli alla piccola Bonnie. Concedere una seconda possibilità ai suoi inseparabili compagni di giochi dell’infanzia sembrava davvero la conclusione perfetta. Almeno così pensavamo. Invece gli artisti dei Pixar Studios avevano in mente ancora tante altre avventure da far vivere a Woody e compagni, a partire da un quarto capitolo che sui personaggi della saga ha ancora molto da dire. Così come ha spiegato Jonas Rivera, produttore di Toy Story 4 oltre che di altre pietre miliari della storia della Pixar come Inside Out e Up.
«Quando abbiamo iniziato a riflettere su questo progetto, ci siamo detti che non volevamo farne un altro a meno che non avessimo avuto davvero un’altra storia da raccontare. Quello su cui abbiamo più discusso sono stati i personaggi perché le avventure sono importanti solo ai fini dello svolgimento della trama. Quello che ci interessa maggiormente in realtà è riflettere su un personaggio e sulle sue caratteristiche. In questo caso ci siamo concentrati su Woody perché abbiamo pensato che valesse la pena raccontare la sua storia anche dopo gli anni trascorsi con Andy, visto che ha sempre fatto la cosa giusta sacrificando per gli ideali la sua realizzazione personale».
Toy Story 4 riparte quindi poco dopo l’arrivo di Woody e compagni da Bonnie. La bambina è in procinto di andare a scuola per la prima volta e l’apprensivo sceriffo ha paura che la piccola, lontano dai suoi affezionati giocattoli, possa sentirsi sola. Bonnie, grazie alla sua fervida immaginazione, riesce a dare vita a Forky, un giocattolo realizzato con pezzi di scarto trovati in un cestino dei rifiuti. Quest’ultimo però non è molto lieto di entrare a far parte di una allargata famiglia di giocattoli. In piena crisi esistenziale, è incapace di riconoscersi come toys. Lui è una forchetta/cucchiaio e lo scopo per il quale è stato creato è di essere usato per mangiare una minestra o del chili, non certo per essere il balocco di una bambina. Per questo decide di fuggire durante una piccola vacanza in cui i genitori hanno condotto Bonnie a un parco divertimenti nei pressi di una cittadina. Woody decide di inseguirlo intenzionato a riportarlo sulla “retta via” ma così rischia di perdere la strada di casa. Durante la sua missione finisce in un negozio di antiquariato dove ritrova la sua adorata Bo Peep. Ma la pastorella rimasta per tanti anni senza la compagnia di una bambina, è molto cambiata dai tempi di Andy ed è diventata una donna tosta e coraggiosa che vuole solo scoprire il mondo.
«A occuparsi di Bo è stato un team di sole donne» ha raccontato Rivera. «Si occupavano di ogni lato di lei, come camminava, come parlava, come vestiva, come si muoveva. Il gruppo di faceva chiamare Team Bo e quando iniziavano a lavorare praticamente cacciavano tutti dalla stanza. È merito loro se siamo riusciti a realizzare un personaggio forte e deciso senza però cadere nei soliti stereotipi».
Sarà lei a salvare Woody dalla villain del film, una bambola degli anni ’50 che, a capo del suo esercito di pupazzi cloni, vuole rubare allo sceriffo il meccanismo che gli da la voce perché il suo è ormai danneggiato. Una scena che ricorda i film noir dell’epoca d’oro di Hollywood e che mostra tutta la sua inquietudine. Toni molto dark per un film per famiglie spiegati da Rivera:
«Noi non facciamo film per compiacere il pubblico o pensando di realizzare pellicole per bambini. Raccontiamo storie che piacciono a noi, che siamo prima di tutto bambini dentro ma anche cinefili che amano tutti i tipi di cinema, sia vecchio che nuovo. Toy Story 4 ha dei toni cupi ma ha anche tanto umorismo. Anche Inside Out veniva considerato troppo filosofico e cervellotico, ma spesso i bambini recepiscono i film molto meglio degli adulti, sono più empatici. Come test per sapere cosa funziona e cosa no uso sempre i miei tre figli, di 7, 10 e 13 anni. Non importa se bambini non si accorgono che in questo film ci sono omaggi a Shining o Viale del tramonto, sicuramente capiranno le atmosfere e che tipo di situazione stiamo mostrando, ed è questo quello che importa». Ovvero i celebri livelli di lettura a cui ci hanno abituato gli artisti Pixar.
© RIPRODUZIONE RISERVATA