Di storie da raccontare su Top Gun, secondo film del terzo figlio della famiglia Scott, ce ne sono tante, e questo anche senza tirare in ballo il lungo monologo che Tarantino gli dedicò in una scena di Il tuo amico nel mio letto, pellicola del 1994 del tutto trascurabile se non fosse proprio per quel momento in cui un giovanissimo Quentin fa un lungo sproloquio sul sottotesto omosessuale del film con Tom Cruise. Ecco, noi di quel sottotesto, non ne parleremo. Perché è ovvio, palese, scontato e, a conti fatti, è comune a tutti i film in cui un gruppo di maschi fa cose maschie, si parla a pochi centimetri dalla faccia e si dà grandi pacche di amicizia virile sotto la doccia. Parleremo, invece, di come Don Simpson e Jerry Bruckheimer ci sono arrivati a fare quel film, perché hanno scelto proprio Tony Scott per dirigerlo e in quale condizioni il regista si è trovato a girare.
Dunque, le origini: la Marina Militare degli Stati Uniti è alla ricerca di un progetto che funzioni da cassa di risonanza per la sua campagna promozionale volta a convincere i giovani virgulti d’America ad entrare nelle sue fila. Ovviamente, i militari non hanno un dollaro da spendere (sono pur sempre degli statali) ma, in cambio di un seducente spot di due ore, offrono l’esclusiva possibilità di girare a bordo di una reale portaerei e di montare delle cineprese sui più avanzati caccia da combattimento del periodo: gli F-14 Tomcat. La Marina pone solo due condizioni: il carburante lo pagano gli studios e nel film deve essere inquadrato (a lungo) il loro manifesto per l’arruolamento. Simpson e Bruckheimer in quel periodo sono la cosa più vicina a delle rockstar che il settore cinematografico possa offrire, quindi non ci pensano un attimo e, forti del successo di Flashdance e Un poliziotto a Beverly Hills, non si fanno scappare l’occasione di pagare il pieno di benzina alla USS Enterprise e ai suoi meravigliosi aerei. C’è solo un problema: non c’è nessuna storia per il film ma solo un’idea vaga, mutuata peraltro dai classici film sportivi.
Ma poco importa, intanto i Toxic Twin di Hollywood pensano a reclutare il regista, il resto si vedrà. Ci vuole qualcuno tecnicamente molto dotato e che venga dai videoclip, che stia al passo con la moda e che abbia un occhio elegante. Praticamente è il ritratto di Ridley Scott, se non fosse che il regista inglese è noto per tre cose: essere uno snob, essere lento e sforare costantemente il budget. Il fratello minore, invece, pur avendo girato solamente uno sorta di art movie soft-porno a tema vampirico (Miriam si sveglia a mezzanotte), che si è anche rivelato un fiasco al botteghino, sembra molto più concreto. E poi è ancora giovane, affamato e con una gran voglia di rivalsa. Un fottuto Maverick della regia.
Tony Scott accetta senza fare troppo domande: “Non c’è uno script? E chi se ne frega! Io intanto vado su quel gigantesco aeroporto galleggiante a girare le più grandiose scene di aerei che si siano mai viste!”. E fa davvero così. Poi torna a terra solo per recarsi nel centro di addestramento di Fallon, in Nevada, cioè nella vera Top Gun dove nessun regista è mai entrato prima, solamente per continuare a riprendere quegli aggressivi giocattoli volanti.
Intanto Simpson e Bruckheimer hanno messo in piedi un cast mica da ridere: Tom Cruise (che non è ancora la superstar che oggi conosciamo ma che lo diventerà presto, proprio grazie a questo film), Val Kilmer (altro nome destinato al successo), la bella Kelly McGillis (una meteora, purtroppo), Meg Ryan (anche lei ancora lontana dal diventare la dominatrice delle commedie romantiche degli anni ‘90 ma comunque in una forma grandiosa), Anthony Edwards (che poi entrerà nel cuori di tutti con il ruolo del dottor Green in E.R.) e poi dei solidi caratteristi come Tom Skerritt e Michael Ironside. C’è persino un Tim Robbins senza nemmeno una battuta.
Tony Scott chiede ai due produttori cosa debba recitare questa gente, visto che hanno un soggetto appena abbozzato e nessuno script e quelli gli rispondono di girare dei lunghi primi piani degli attori nelle cabine, con la maschera dell’ossigeno alzata, in modo da poter aggiungere successivamente i dialoghi (quando verranno scritti) e di tenersi assolutamente sul vago nelle scene di raccordo tra un combattimento aereo e l’altro, limitandosi a fare una roba standard da film di genere: l’eroe che incontra la sua bella, l’eroe che si scontra con l’antagonista, l’eroe che corre sulla sua moto verso il tramonto, agitando il pugno in aria. L’unica cosa che Simpson e Bruckheimer vogliono assolutamente è una scena di beach volley, perché quell’anno la beach volley tira un casino (e Simpson la sa lunga quando si tratta di tirare).
Scott non ha idea del perché in un film su dei piloti da combattimento ci debba essere una scena di pallavolo sulla spiaggia ma se ne frega e la gira “come fosse un porno”, rifacendosi alle foto, patinate e bellissime, di un gigante della cultura gay del periodo: Bruce Weber. Il risultato è una specie di videoclip in un film che è già un lungo videoclip di suo: un momento, sexy, divertente, imbarazzante, improbabile e assolutamente folle. Il resto del film è letteralmente costruito in sala di montaggio, seguendo più il filo conduttore di una straordinaria colonna sonora (scelta personalmente da Bruckheimer ascoltando centinaia di pezzi ma solo per i sette secondi iniziali). Dovrebbe essere un disastro e, invece, sorprendentemente, non lo è. A parte per una scena pensata per un momento diverso del film e inserita goffamente nel terzo atto, tutto si armonizza straordinariamente bene. Non è Quarto potere, non ha una vera e propria storia, magari è un po’ stupido, ma ha un ritmo perfetto, delle immagini mozzafiato e funziona splendidamente dal punto di vista emozionale.
Top Gun diventa un successo clamoroso e, con gli anni, un classico. Certo, un classico di quella decade tutta speciale che sono stati gli anni ‘80, ma pur sempre un film che ha segnato la storia e il linguaggio del cinema. E tra poco, arriva il seguito.
Sul numero di Best Movie di settembre trovate un’illustrazione esclusiva dedicata a Top Gun realizzata da Roberto Recchioni per noi. Si tratta di un omaggio ai tanti videogiochi prodotti all’epoca dalla ocean, che nell’86 lanciò anche un videogame di combattimento aereo su licenza del film.
Foto: © Paramount Pictures/ Don Simpson/Jerry Bruckheimer Films
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