Da febbraio 2016, Roberto Recchioni (fumettista e romanziere, oltre che curatore di Dylan Dog per la Sergio Bonelli Editore) firma su Best Movie “A scena aperta”, rubrica in cui svela i segreti delle scene più belle dei film disponibili in home video.
Ogni mese, per Best Movie, sono chiamato a scegliere la scena di un film in uscita per il mercato dell’home video che mi offra lo spunto per qualche riflessione sul linguaggio e la regia. Certe volte è facile, certe volte è difcile. Questo mese è, semplicemente, una scelta obbligata. Perché per quanto Ready Player One (in uscita a settembre, ma di cui vi parliamo questo mese in anteprima, ndr) offra tutta una serie di momenti di straordinaria tecnica cinematografica, ce n’è uno che mette in ombra tutti gli altri e, per certi versi, trascende anche la qualità del film stesso. Parlo, ovviamente, della scena in cui i protagonisti entrano dentro a Shining, il capolavoro kubrickiano (1).
Prima di parlare della sequenza in quanto tale è importante capire la tecnica con cui è stata realizzata, perché la resa a schermo di quel momento è così naturale e felice da oscurare l’immane sforzo di inventiva che è costata. Ho parlato di una tecnica al singolare ma, in realtà, le soluzioni adottate daSpielberg, dalla Industrial Light & Magic e da tutti gli altri studi coinvolti nella realizzazione della pellicola sono molteplici, perché la s da era piuttosto complessa. Non si è trattato, infatti, solamente di compositare (sovrapporre e integrare) i personaggi di Ready Player One sul girato analogico di Stanley Kubrick, ma anche di ricreare lo spazio scenico per permettere movimenti di camera inediti, nuovi angoli di ripresa e mostrare cose che non si erano mai viste prima. Per fare questo si è ricorso alle riprese originali e agli outtake, a porzioni di set fedelmente e maniacalmente ricostruite e a degli spazi virtuali creati in digitale (2).
Il risultato è poi stato post-prodotto per avere la stessa grana della pellicola del 1980. Operazioni del genere erano, in parte, già state compiute con pieno successo da Robert Zemeckis in pellicole come Ritorno al futuro – Parte II e Forrest Gump, ma qui l’asticella viene alzata di molto perché Spielbergpretende e ottiene una libertà di movimento all’interno del girato di Kubrick difficilmente immaginabile. Uno dei momenti più forti, in questo senso, è la scena delle gemelline (3).
Chiunque ami Shining conosce quella scena a memoria e non ha problemi a ricordarne le inquadrature. Quando però uno dei protagonisti di Ready Player One si comincia a muovere la camera lo segue, cambiando l’angolo di ripresa, ed è impossibile non sussultare per la sorpresa. Perché nel film originale quel movimento non c’è ma noi siamo, almeno apparentemente, ancora nel film originale. Quello che succede dopo è ancora più sconvolgente, e inizia quando le porte dell’ascensore si aprono e il sangue inizia a scorrere (4).
Nonostante a schermo ci sia uno dei pupazzi di Ready Player One, non ci sono dubbi che ci troviamo nel girato di Kubrick. Solo che la camera, quando il fiume vermiglio la raggiunge, non viene oscurata, ma inizia a galleggiare sulle onde di sangue (5),
lanciandosi in un piano sequenza da capogiro per i corridoi dell’Overlook Hotel, mostrandoci, oltretutto, un controcampo sul corridoio del tutto inedito (6).
Dopo questo, il resto della sequenza ci appare quasi normale. Quasi.
Ma l’importanza di questa lunga sezione del film non trova la sua ragion d’essere solo nella straordinaria capacità di Steven Spielberg di immaginare una cosa del genere e metterla in pratica. Se così fosse, sarebbe solo un divertente giochetto e nulla di più. Quello che rende questo momento davvero straordinario è il suo metatesto. Scusate, cerco di farla breve e semplice, senza usare troppi paroloni. Ernest Cline, l’autore del libro da cui Ready Player One è stato tratto, si è divertito nel romanzo a costruire un gioco post-moderno estremo, usando e manipolando liberamente un numero infinito di icone legate alla cultura nerd, senza alcun timore e in anarchica e totale libertà. Spielberg, nel realizzare il suo film, ha applicato lo stesso principio al suo linguaggio di elezione, il cinema, con lo scopo di ricordarci che si tratta di un linguaggio vivo e in costante mutamento e che si può giocare, manipolare, sovvertire e reinventare anche quelle icone che ormai paiono intoccabili e scritte nella roccia.
Non c’è nulla di più sovversivo e iconoclasta che prendere un mostro sacro cerebrale e serissimo come Stanley Kubrick e alterare le minuziose geometrie del suo lavoro per metterle al servizio di un blockbuster per ragazzi. È un gesto folle, è un gesto arrogante, è un gesto provocatorio. È, forse, il più grande gesto artistico che Steven Spielberg abbia mai fatto. E vale da solo la visione di tutto il film (che nelle sue parti è spesso straordinario mentre forse, nel suo insieme, è meno buono di quanto lo ricordassi).
Foto: © Warner Bros.