A spasso nel tempo
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A spasso nel tempo

A spasso nel tempo

Duemilventidue. Lo so, nessuno starà parlando d’altro, adesso. Dell’anno che sta arrivando, che tra un anno passerà. Io mi sto preparando, e questo è il problema. Preparato, nemmeno fossi un farmaco. Voi leggete queste righe guardando il vostro albero di Natale, immersi in una atmosfera che molti amano e qualcuno finge di detestare. Ed è questa la meraviglia di affrontare ogni mese questa rubrica: io sono in un bar su via Albalonga a Roma, piove, e di Natale ancora nessuno parla. Nessuno ha fatto l’albero. Qui, in Fono Roma, stiamo ancora prendendo in giro i proprietari, proprio perché l’albero l’hanno già fatto. E a voi ha già stancato. Non è nemmeno ancora finito novembre.

Questo mi costringe a scrivere qualcosa che per me oggi è vera e tra un mese potrebbe non esserlo più. Come quando ti innamori e innamorato ci resti, ma finisce che quando scrivi c’è e quando esce non c’è più. E capisci quante cose cambiano in un mese, figuriamoci in un anno. Se vi parlassi di quello che vedo e vivo oggi, a voi che leggete saprebbe di vecchio. Vi ricordate di Squid Game? E della serie di Zerocalcare? Eppure tanto ne state parlando oggi, che quando leggerete sarà “Oddio, ma quanto tempo fa era?”. Ecco, siamo tutti Marty McFly, sfuggendo dai terroristi libici e rischiando di pomiciare nostra madre… Sì, lo so, messa così sembra un altro film, ma vi assicuro che è lo stesso. Io vi dico che ieri ho visto il premontato del mio prossimo film da protagonista, una commedia romantica, di cui ho appena finito di doppiare due conati di vomito e un urlo. Sì. Quello. Peggio di Giacomo Poretti e i suoi turni di doppiaggio.

Questa, però, è una cosa a cui tengo da morire e di cui non posso parlare nemmeno con i parenti. Mentre leggete, invece, probabilmente staremo per annunciarlo e per inondarvi di ogni frame, foto, pensiero, stimolo. Tanto che vi sembrerà di averlo già visto, il film. Di cui non vi posso parlare. Un mese, un anno. E invece un signore mi ha appena fermato per farsi una foto, perché ha visto Il figlio più piccolo, uscito nel 2010. Eccole le serie, che ormai non serve nemmeno più dire “Tv”, perché sarebbe da dire “streaming”. O boh, non lo so. Perché esplodono, detonano, totalizzano e poi, semplicemente, come il diavolo: puff, spariscono. Le serie sono lo schiocco di dita, il cinema è come chi le dita le schiocca: imperituro. E per questo serve tempo. Non un mese, ma spesso ci si mette un anno. E la parte più importante non è mai il set, il montaggio, l’uscita, forse nemmeno la scrittura. Ma la preparazione.

27L’anno che sta arrivando, tra un anno passerà. Io mi sto preparando. E no, non è una novità. Buon anno a tutti.

 

Credit foto

©  Universal Pictures, Amblin Entertainment, U-Drive Productions

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