A tu per tu con Paul W.S. Anderson
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A tu per tu con Paul W.S. Anderson

Abbiamo incontrato il regista per voi, in occasione del debutto casalingo di Resident Evil: Retribution

A tu per tu con Paul W.S. Anderson

Abbiamo incontrato il regista per voi, in occasione del debutto casalingo di Resident Evil: Retribution

Quinto episodio dell’infinita saga, Resident Evil: Retribution, è stato ancora una volta affidato alle mani di Paul W.S. Anderson. Compiacere i fan dopo un capitolo deludente come quello precedente non era un’operazione da poco. Il regista decide di non rimescolare completamente gli ingredienti ma di confezionare un film dall’impianto narrativo il più vicino possibile a un videogioco. Passano i minuti, passano i livelli, i nemici da sconfiggere diventano più temibili e la carneficina più abbondante. Ma soprattutto si viaggia, e tanto. È probabilmente qui la chiave di volta del film, anche se non parliamo di una svolta cerebrale; semplicemente un corollario un po’ più sostenuto per una pellicola che resta comunque un mix tra zombie, sparatorie, inseguimenti mozzafiato e bellissime donne con le forme evidenziate dalle tute supersexy a cui la saga ci ha abituato. (Foto Getty Images)

Dal 9 gennaio il film sarà disponibile nelle versioni dvd, Blu-ray e Blu-ray 3D.

Ecco l’intervista al regista:

Quale è il segreto di questa serie cult?
«Potrebbe sembrare una risposta scontata, ma dipende dall’amore e dalla passione con cui sono realizzati. Cast e cast tecnici, tutti lavorano per ottenere il miglior risultato possibile, e vi assicuro che questo non capita spesso. Spesso si lavora per diversi motivi: soldi, carriera, oppure perché non si trova un’occasione migliore. Invece questi film li abbiamo realizzati perché desideravamo farli. Penso che questo spieghi il perché del successo. Sono stati fatti con passione e grande energia. Quello che è successo, è che grazie al successo dei primi film, ho avuto più budget per gli altri, che quindi sono diventati più curati e di qualità, pur non discostandosi dai precedenti. Ho fatto anche Alien vs. Predator, e ne vado fiero perché è uno dei miei franchise preferiti. Il salto tra Alien e Aliens è un buon esempio per mostrare come si sviluppa un franchise. Penso che quando Cameron guardò il film di Ridley Scott, pensò: “Cavolo, non potrò mai fare meglio di lui”. Questo è il meglio del meglio. Come faccio a fare il mio film dopo quello di Ridley Scott?”. Così raggiunse la decisione di fare un film decisamente diverso. E così non realizzò un film che ricordasse Alien o che significasse quello che per lui era Alien, ma fece un film action dove c’erano anche gli alieni. Questo fu l’inizio di un franchise di successo ed è quello che ho cercato di fare anche io con la saga di Resident Evil: fare ogni film completamente diverso così da permettere al pubblico di fare sempre una nuova esperienza. Non ci adagiamo mai sugli allori e non ripetiamo mai quello che abbiamo già portato in scena».

Se tu e Milla doveste combattere usando le tecniche delle arti marziali, chi vincerebbe?
«Non resisterei un secondo. Comincio a pensare che non ci riuscirei nemmeno con mia figlia. Ha solo 4 anni e mezzo ma pratica Tae-Kwon-Do. “Tae-Kwon-Do! Si posso farcela!” Ha anche tutto il corredo bianco. È pazza per questo sport».

Quanto potere hai tra le mura casalinghe?
«Nessuno! È per questo che faccio il regista. È l’unico modo per avere un po’ di potere. È l’unico modo per avere un po’ di rispetto».

Pensi che a questo punto Milla potrebbe fare la regista di uno dei film?
«Non credo sia interessata».

Ma potrebbe?
«È molto brava. È una donna sveglia. Sa molto di sceneggiatura, riprese e lenti. Sul set,  dice al direttore della fotografia: “sposta un pochino la luce verso quel punto.” E ci prende in pieno, perché ha passato molto tempo di fronte a una camera. Penso che non ci sia nulla che lei non possa fare. Fare il regista richiede abilità e molta disciplina. E ti prende almeno un anno e mezzo della tua vita. Penso che lei impazzirebbe a fare il mio lavoro».

Len Wiseman e Kate Backinsale sono una altra celebre coppia regista/attrice. Siete amici?
«Conosco Len dai tempi di Underworld. Andai al montaggio di Underworld a Londra da Martin Hunter, lo stesso che montò per me Mortal Kombat, Punto di non ritorno e Soldier. Lo conosco da molti anni, insomma. Len lo incontro sempre. Passiamo molto tempo in Sony per i montaggi e altre cose, così siamo diventati amici. Invece Milla e Kate non si erano mai inocntrate prima della festa di Vanity Fair in occasione degli Oscar®. Io ho visto Len. Lui ha visto me. Le ragazze erano lì. Così si sono incontrate e si sono subito piaciute».

Chi vincerebbe in un combattimento fra loro due?
«Dovremmo farci un film. La questione però è, dovrebbe chiamarsi Underworld vs. Resident Evil oppure Resident Evil vs. Underworld?»

Hai pianificato di di concludere presto questa saga?
«Abbiamo fatto una trilogia con i primi 3. Uno sogna sempre di fare più di un film. Anche se posso parlare di un altro film, però non è detto che io lo stia per fare. È molto arrogante supporre di poter fane un altro, e un altro film ancora. Se questo film non va, non ci sarà nessun altro Resident Evil e questo io lo so. Per questo metto tutto me stesso in ogni film che faccio. Penso sempre che potrebbe essere l’ultimo, così mi impegno sempre al massimo per fare del mio meglio. Comunque quello che vorrei fare sarebbe chiudere  la saga con la seconda trilogia, fare un salto nel passato e tornare alla genesi della saga. Per questo motivo, in questo episodio ricompaiono dei personaggi che non si erano più visti per anni. Una sorta di ritorno alle origini».

Quanto sei lontano dallo scrivere il prossimo episodio?
«È tutto nella mia mente. So esattamente come deve essere. Sarà un film a sé però. Ho sempre immaginato che, con Resident Evil, uno avrebbe dovuto essere in grado di seguire il film anche senza aver visto gli altri episodi. E li ho pensati in maniera che fosse così. Se non hai mai visto i primi quattro, non è un problema. Puoi vedere questo. E ha funzionato specialmente per quest’ultimo, per il quale abbiamo ampliato l’audience. E quindi c’erano molte persone che non avevano visto i film precedenti. Voglio che il film abbia significato anche visto da solo, fuori dal contesto della storia della saga. Ma che ovviamente acquisisca maggiore significato per chi ha potuto vedere tutti gli episodi».

Quando scrivi questi film, hai totale libertà o devi confrontarti con Capcom, i creatori della serie di videogame?
«Ho una grande ammirazione per i creatori del videogame. Quando stavo lavorando al primo film, la prima cosa che ho fatto è stata volare ad Osaka e passare due giorni con un terribile jet-leg a ragionare su come dovesse essere il film e la saga. Ascoltai le loro idee e poi gli esposi le mie. Sicuramente ho dovuto cambiare delle cose. Questo è stato il nostro modo di interagire da allora. Ho un grosso rispetto per loro perché io sono stato coinvolto nel progetto da dieci anni. Loro sono coloro che hanno dato vita al mondo di Resident e non posso che rispettarli. Ma penso che sono tanto intelligenti da capire che un film di successo non può essere un semplice adattamento di un videogame, scena per scena. Spesso le cose non funzionano  egli adattamenti perché talvolta ci si prende troppa libertà e altre volte troppo poca. Ci vuole la giusta via di mezzo invece. I creatori del gioco in Capcom hanno abbastanza fiducia in me come regista, sanno che sono in buone mani e che non farei nulla che potesse rovinare il franchise. Ho inserito parecchi elementi nel film ma non ho fatto nulla che potesse andare contro il loro lavoro. Non ucciderei mai un personaggio se loro dicono: “Non ucciderlo! Deve essere presente nel prossimo videogame!” Il film e il gioco viaggiano su binari paralleli e non possono contraddirsi a vicenda».

In che punto il film fa di più del videogame?
«Non ne ho idea. Non guadagno soldi dal gioco. Forse il videogame fa più soldi».

Come sono nati i mostri di ciascun film?
«Facile. Osservando il gioco. Uno dei punti di forza del gioco sono senza dubbio le creature, i mostri e gli zombie. Io li ho presi direttamente da lì. Abbiamo un dialogo aperto con i fan che ci hanno indicato quali fossero i più amati. E questo ovviamente ha influenzato ciò che abbiamo inserito nel film».

Chi è più forte nel gioco tra te e Milla?
«Io. Sono giunto al franchise dopo aver perso un mese di vita chiuso a casa a giocare ai primi tre episodi, mentre Milla si prendeva cura del fratello e lo osservava mentre giocava. Quindi se mai dovessimo scontrarci, so che vincerei solo una battaglia. Quella virtuale».

In questo momento, pensi di fare un altro film del franchise?
«In questo momento penso solo a questo ultimo film, se dovesse andare bene, penserei magari di farne un altro per chiudere la saga».

La tecnologia 3D è cambiata molto rispetto a quando hai girato Afterlife?
«Sì, c’è stato una sorta di salto generazionale, le tecnologie sono migliorate e le videocamere sono state reinventate dopo Avatar. Le attrezzature e le videocamere cambiano ad ogni film che faccio, e io faccio un film ogni dodici mesi, più o meno. Per questo film ho però avuto la possibilità di avere una camera come dicevo io, costruita dal direttore della fotografia, che avevo già usato nello scorso film. Lui mi disse; “Paul, sono stanco di sentirti lamentare perché non riesci a fare quello che vorresti.” Penso che il 3D di questo film sia davvero spettacolare. Penso che mostrerà un nuovo livello di tecnica 3D perché è stato realizzato con strumenti 3D fatti ad hoc e che nessuno ha mai utilizzato prima».

Punto di non ritorno compie 15 anni. È ancora speciale per te?
«Lo amo. Abbiamo lavorato per la fotografia del film a Toronto e mentre eravamo lì, in un cinema proiettavano Punto di non ritorno, e come prima cosa mi sono fatto intervistare.Dopo, era notte e volevo vedere solo un paio di minuti del film. Ero molto stanco, ma quando ho iniziato a vederlo mi sono reso conto che in 10 anni, non lo avevo visto al cinema. Era così bello. Così alla fine l’ho guardato tutto. Insomma, quel film lo amo. Ha rappresentato un periodo unico nella mia carriera. Avevo appena diretto un grande successo [Mortal Kombat] e gli studios avevano fiducia in me. Loro avevano Titanic, da cui erano ossessionati. Tutti i loro sforzi erano concentrati verso il Messico dove James Cameron stava girando, così nessuno mi stette dietro e io potei fare più o meno tutto quello che desideravo. Poi quando lo videro ne restarono sconvolti: “Cosa hai fatto?” E io: “Non avete dato un’occhiata ai girati giornalieri?” E risultò chiaro allora che nessuno lo aveva fatto perché erano troppo concentrati su Cameron. E io ebbi una rara opportunità di dare sfogo alla mia creatività pura e realizzai qualcosa che probabilmente nessuno mai avrebbe approvato».

Potresti rigirarlo in 3D…
«Potrebbe essere orripilante, tutta quella roba che ti viene contro…»

 

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