Da diversi giorni resta fissa al numero uno della classifica Netflix una serie italiana che ci aveva colpito fin dall’anteprima dei primi due episodi. E se il successo e i numeri registrati in queste ore dallo show continuano a crescere in modo sempre più sorprendente, non stupisce invece che sempre più abbonati della piattaforma streaming stiano scegliendo di sintonizzarsi su questi sei episodi. Perché parliamo naturalmente di ACAB – La Serie, una produzione extra-ordinaria dai più svariati punti di vista. In principio era ACAB – All Cops Are Bastards, film che nel 2012 segna l’esordio sul grande schermo dell’acclamato regista della serie TV Romanzo Criminale, alias Stefano Sollima. Il lungometraggio rappresenta per altro il primo capitolo della sua Trilogia di Roma Criminale, proseguita nel 2015 con Suburra e terminata nel 2023 con Adagio. E qui purtroppo dobbiamo interrompere o comunque mettere in pausa una digressione che ci porterebbe troppo lontano: quanto Stefano Sollima, autore di Suburra ma anche Soldado (2018) e le prime stagioni di Gomorra – La Serie, rappresenti una figura di particolare influenza e rilievo nella Storia del Cinema e della Serialità italiana. Per quanto riguarda nello specifico la serie sequel di ACAB, il regista sceglie di passare al ruolo di produttore, mentre il filmmaker scelto per dirigere è Michele Alhaique. E qui iniziamo davvero a entrare nel vivo della questione. Perché tra le ragioni che ci spingono a consigliarvi così caldamente di correre a vedere (o rivedere) questa novità targata Netflix c’è la straordinaria qualità della confezione e del versante formale. E non vogliamo né possiamo procedere a una classifica di ragioni più o meno importanti per guardare ACAB- La Serie: perché significherebbe ineluttabilmente sminuire l’eccezionalità di forma e contenuto, sceneggiatura regia e montaggio, colonna sonora; o l’impressionante talento del cast al completo, dove ogni singolo attore o attrice interpreta il proprio personaggio al massimo delle sue possibilità, ricercando gli accenti più infinitesimali e i più profondi chiaroscuri.
Vogliamo allora partire da un personaggio e una attrice: la poliziotta Marta Sarri, interpretata da Valentina Bellé. Al netto di qualunque giudizio critico, sappiamo che tra le grandi domande del Cinema e la Serialità contemporanee c’è n’è una particolare: la ricerca di una nuova generazione di personaggi e protagoniste femminili. In questo senso, in realtà poco importa che sentiamo di appartenere alla fazione di chi guarda alla Feminist Film Theory di Laura Mulvey del 1975 come il testo cardine, il punto di partenza per qualunque analisi sul genere e la questione femminile applicata al contesto dell’industria e dell’arte cinematografica, anche nel mondo di oggi. Oppure che chi legge appartenga a vario titolo alla fazione opposta: quella che ritiene si tratti di una questione ormai già abusata, una moda, ridotta spesso e volentieri a mera strategia commerciale, e così privata di qualunque carica eversiva nonché di un reale impatto sulla società civile. Esistono ovviamente nel mezzo una miriade di sfumature. E soprattutto esiste un fatto: nella misura in cui questa richiesta esiste, praticamente ogni giorno escono sul piccolo e il grande schermo opere filmiche o serie a episodi, di produzione nazionale o internazionale, tutte accomunate dalla ricerca di questa nuova e diversa prospettiva femminile. Concretizzata naturalmente nelle loro creature: quelle scritte in sceneggiatura, e al contempo le attrici che danno un volto, una voce e un corpo a queste differenti figure.
Tutto questo in fondo per dire nient’altro che una cosa: grazie ad ACAB – La Serie, abbiamo sempre più il serio sospetto che Valentina Bellé possa affermarsi come una delle più grande attrici della sua generazione, se non la più grande. Solo la sua ricerca della voce e il dialetto di Giuseppina Pesce in The Good Mothers di Julian Jarrold e Elisa Amoruso, premiata al Festival di Berlino nel 2023 come Migliore serie internazionale, meriterebbe un intero approfondimento a parte. E per analizzare seriamente la sua Marta Sarri avremmo probabilmente bisogno di qualche spoiler clamoroso, il quale dimostrebbe in modo rapido e lapalissiano quanto l’unica poliziotta donna nella caserma e nella squadra antisommossa al centro del dramma corale ACAB sia il cardine dell’intero assetto narrativo, la variabile impazzita che porta l’intera stagione a un altro livello di intensità, emozione e tensione. Preferiamo rinunciare agli spoiler, lasciandovi il piacere della scoperta, consapevoli che le contraddizioni, i conflitti interiori, la concretezza il coraggio e (in una parola) il fascino di questo personaggio e la sua interprete Valentina Bellè non potranno in alcun modo lasciarvi indifferenti.
E senza naturalmente nulla togliere al resto del cast – il quale può contare per altro su personalità del calibro di Marco Giallini (Ivano “Mazinga” Valenti), Adriano Giannini (Michele Nobili) e Donatella Finocchiaro (Anna Fura) – in questa squadra e questa serie dove giusto e sbagliato, colpa e ragione, vendetta e espiazione si fondono e si confondono a ogni scena, costringendoci a rivedere incessantemente giudizi, assoluzioni e condanne sommarie, l’arco narrativo della poliziotta Marta e il talento dell’attrice veronese classe 1992 restano tra gli elementi determinanti per dichiarare ACAB come una serie imperdibile. Anche senza dilungarci troppo, vogliamo quantomeno evocare anche la colonna sonora firmata dall’unica autentica formazione Post Rock mai esistita in Italia: quella dei Mokadelic, già acclamati autori delle musiche del film originale del 2012, del tema di Gomorra e tutte le sue variazioni, per tutte le stagioni dal 2014 al 2021, della soundtrack di Sulla Mia Pelle di Alessio Cremonini (2018) nonché della serie Prime Citadel: Diana. E a proposito di serie Prime Original, se dopo la fine dei sei episodi in questione siete ancora in cerca di una produzione italiana che possa intrattenervi, stupirvi e lasciarvi possibilmente senza parole, potete subito recuperare Bang Bang Baby di Michele Alhaique: il titolo del 2022 che ai nostri occhi resta la prima prova inequivocabile di un talento fuori scala, per uno dei più promettenti registi italiani del panorama contemporaneo.
E voi che ne pensate? Diteci la vostra su ACAB nei commenti.
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