Guardate la foto qui sotto. Riconoscete il posto? Se siete fan dei Sopranos la risposta è scontata: quello che si vede nella foto è Holsten’s, ristorante e gelateria del New Jersey dove è stata girata l’ultima, storica e strepitosa scena della serie targata HBO. Da stanotte, il cartello RESERVED, riservato, campeggia sul tavolo dove sedeva Tony Soprano insieme alla sua famiglia: un omaggio a colui che aveva dato vita a Tony, ovvero James Gandolfini, scomparso ieri notte nel nostro Paese in seguito a un attacco di cuore. Holsten’s è stato preso d’assalto dai fan della serie, che hanno manifestato il loro dolore un po’ ovunque: su Twitter, su Facebook, ovunque chi ha amato i Sopranos possa far sentire la propria voce.
La Rete, naturalmente, non è sola: da tutto il mondo rimbalzano le dichiarazioni sgomente di chi ha conosciuto Gandolfini e con lui ha lavorato, dai suoi compagni di set (raggiunti, increduli, da telefonate che annunciavano la notizia) al creatore della serie David Chase (che l’ha definito «un genio, uno dei migliori attori di tutti i tempi») ad attori e registi che hanno voluto ricordare il collega. Jeff Daniels, che con Gandolfini aveva recitato a teatro in God of Carnage – ovvero la piéce da cui Roman Polanski ha tratto il suo Carnage – l’ha definito «la persona che vorrei avere sempre in giro per casa», la co-star dei Sopranos Lorraine Bracco «un gigante».
Nato James Joseph Gandolfini Jr. da genitori italiani immigrati in America il 18 settembre 1961, laureatosi in comunicazione alla Rutgers University, Gandolfini non si interessa alla recitazione fino ai 25 anni: prima, in perfetto stile italo-americano, è camionista, manager di nightclub e barista a Manhattan. L’esordio cinematografico arriva nel 1987, con una commedia horror ormai smarritasi nei meandri degli anni Ottanta e intitolata Shock! Shock! Shock, ma Gandolfini ha sempre amato mettersi alla prova anche sui palchi teatrali: nel 1992 recita in Un tram chiamato desiderio, e il suo ruolo nel già citato God of Carnage resta uno dei punti più alti della sua carriera. Ma la sua faccia (e il suo fisico) da anti-divo, fermamente contrario a qualsiasi regola dell’apparire dettata dallo showbiz hollywoodiano, esplodono definitivamente nel 1993, quando Tony Scott – un altro grandissimo di cui sentiamo la mancanza – lo vuole in True Romance, da noi noto come Una vita al massimo, capolavoro scritto da Quentin Tarantino (e che per molti versi anticipa sia il suo Pulp Fiction sia un altro filmone da lui scritto, Natural Born Killers) nel quale solo un gigante della recitazione poteva ritagliarsi una parte memorabile pur essendo circondato da grandissime facce da cinema come Dennis Hopper, Gary Oldman, Brad Pitt, Christopher Walken e Samuel L. Jackson. Nel film Gandolfini era Virgil, mafioso (guarda caso) che nel suo limitato screentime riusciva a trovare il tempo di massacrare di botte la protagonista Patricia Arquette in una delle scene più memorabili del film, questa:
E rabbia e violenza sono parole chiave per comprendere non solo l’attore, ma anche l’uomo: «Sono sempre stato arrabbiato, e spesso non sapevo perché» dichiarò Gandolfini in un’intervista ad AP datata 2012. «Faccio di tutto per evitare tutta questa violenza, ora che sono invecchiato». Chi si ricorda le follie di Tony Soprano non farà fatica a crederlo: «A volte stavo sveglio tutta la notte per arrabbiarmi ancora di più e recitare meglio. Oppure mi davo da solo delle botte in testa. O bevevo sei caffè di fila, o andavo in giro con un sasso nella scarpa. Sembrano cose stupide, ma funzionano». Non stupisce quindi che, fin dai tempi di True Romance, Gandolfini sia stato quasi sempre chiamato per ruoli da duro, da gangster, da violento, ma sempre con una dose incredibile di carisma. In Get Shorty di Barry Sonnenfeld era uno scagnozzo che pestava a sangue John Travolta e uccideva per sbaglio il suo stesso boss. In Allarme rosso di Tony Scott un luogotenente della marina americana. Nel magnifico Romance & Cigarettes, in un raro caso di typecasting al contrario, era il protagonista Nick Murder (murder…), che però, invece di darle, prendeva le botte dalla moglie Susan Sarandon. E i più recenti Zero Dark Thirty e Nel paese delle creature selvagge (dove doppiava Carol), e poi Cogan nel quale interpretava un untuoso e inquietante avvocato…
Una candida ammissione: chi scrive ha cominciato questo pezzo partendo dal presupposto che James Gandolfini fosse, fondamentalmente, Tony Soprano. Poi, andando a scavare nella sua filmografia, sono emersi tutti i ricordi, anche i più sepolti nei meandri della memoria; persino la sua particina nel capolavoro di Tony Scott L’ultimo boyscout, di quelle che se chiudi gli occhi un attimo rischi di perdertela. E ora che stiamo per chiudere, la sensazione di aver perso un vero e proprio gigante è fortissima: Gandolfini era uno di quegli attori che metteva tutto se stesso nel suo mestiere e a cui fregava poco di apparire o di venire ricordato per qualche follia fuori dal set. Non era un Brad Pitt, un George Clooney, un Johnny Depp: era un professionista dal talento immenso, un caratterista nel senso più nobile del termine, uno che lasciava il segno dovunque comparisse senza mai essere invadente, senza mai cedere alla tentazione dell’esibizionismo.
Un attore, che ricorderemo per sempre come tale. Non una star, non un protagonista del gossip, non una figura pubblica: semplicemente, uno dei migliori al mondo a fare il suo mestiere. Per questo ci mancherà moltissimo.
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