Aftersun: l’opera prima dell’anno è un trionfo di regia, delicatezza e memoria. La recensione dell'esordio di Charlotte Wells
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Aftersun: l’opera prima dell’anno è un trionfo di regia, delicatezza e memoria. La recensione dell’esordio di Charlotte Wells

Quello che è con ogni probabilità l'esordio più significativo del 2022 ha per protagonisti l'undicenne Sophie (Frankie Corio, al suo primo ruolo) e suo padre, Calum (Paul Mescal, star in ascesa di Normal People, scelto nel frattempo anche per il sequel de Il gladiatore), in vacanza in una località balneare turca alla fine degli anni Novanta

Aftersun: l’opera prima dell’anno è un trionfo di regia, delicatezza e memoria. La recensione dell’esordio di Charlotte Wells

Quello che è con ogni probabilità l'esordio più significativo del 2022 ha per protagonisti l'undicenne Sophie (Frankie Corio, al suo primo ruolo) e suo padre, Calum (Paul Mescal, star in ascesa di Normal People, scelto nel frattempo anche per il sequel de Il gladiatore), in vacanza in una località balneare turca alla fine degli anni Novanta

Aftersun
PANORAMICA
Regia (4.5)
Sceneggiatura (3)
Interpretazioni (4)
Fotografia (4)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (3.5)

L’undicenne Sophie (Frankie Corio, al suo primo ruolo) e suo padre, Calum (Paul Mescal, star in ascesa di Normal People, scelto nel frattempo anche per il sequel de Il gladiatore), sono in vacanza in una località balneare turca alla fine degli anni Novanta. Nuotano, giocano a biliardo e si godono la compagnia l’uno dell’altra, qualche volta li scambiano anche per fratelli. Calum è la versione migliore di se stesso quando è con Sophie. Sophie sente che tutto è possibile quando c’è Calum. Quando Sophie è da sola, affronta nuove amicizie ed esperienze.

Mentre trascorrono del tempo insieme, Calum tenta di nasconderle un senso di malinconia e struggimento che lo pervade. Vent’anni dopo, i teneri ricordi dell’ultima vacanza di padre e figlia diventano un ritratto potente e straziante del loro rapporto, mentre Sophie cerca di riconciliare il padre che conosceva con l’uomo che non ha mai conosciuto. 

Aftersun, l’acclamato esordio alla regia della cineasta scozzese Charlotte Wells prodotto dal Barry Jenkins di Moonlight e amato anche da Claire Denis, è arrivato in Italia su MUBI e in poche sale selezionate dopo aver fatto la parte del leone in molte autorevoli classifiche di fine anno e aver guadagnato, solo per restare alla stampa britannica più prestigiosa, la prima posizione nelle top dei migliori film del 2022 del Guardian e di Sight & Sound. 

Si tratta, senza mezzi termini, dell’opera prima dell’anno appena trascorso, di una delicatezza folgorante: un padre divorziato, che sta per compiere 31 anni, in vacanza in un modesto resort in Turchia popolato da molti britannici come loro con la figlia non ancora adolescente (un elemento fondamentale), che vive invece a Edimburgo con la madre, sono i due nuclei di una messa in scena che fa di praticamente ogni dettaglio una tavolozza da affrescare con tatto lieve, quasi impercettibile, di una purezza lancinante e tutta in sottrazione, senza mai l’ombra di alcun manierismo epidermico (anche quando la macchina da presa si sposta lateralmente per prendere in pieno, come fosse un quadro da posizionare su una parete, la scritta «We know the perfect place»). 

Aftersun è una sorta di nuova versione dell’assai bistrattato e sottovalutato Somewhere di Sofia Coppola ancora più scarnificato, frammentato e intermittente, tanto nell’uso di movimenti e punti macchina quanto nella sostanza della resa, nel quale sono la misura e la compostezza nell’usare delle inquadrature ricercate per fuggire dal cuore dei conflitti e dei traumi – riversandoli, idealmente, in un fuori campo assoluto da riempire con empatia e commozione – a fare e addirittura a determinare tutta la differenza del mondo, tra lampi di queerness, dissolvenze carezzevoli e pianti virili simili a latrati consumati di spalle, fino a slabbrare il confine tra passato e presente  ma anche tra sogno e realtà, sulle note di un utilizzo quantomai memorabile e da brividi del brano Under Pressure di David Bowie e i Queen. 

Le immagini degli home movies familiari, invitate a prendersi il loro tempo (magari quello di far sviluppare una polaroid), in un simile contesto sono chiamate a fare da traccia della memoria, da collante tra il presente e il passato delle età della vita, da “doposole” – quello del titolo, anche – per evitare di scottarsi nel contatto ustionante con la luce dei propri ricordi (la radiografia di luci, suoni e sentori degli anni ‘90, da Losing My Religion alla Macarena, è tanto sotterranea e impalpabile quanto sfacciatamente esibita quando non addirittura sensuale).

Aftersun, in tal senso, non è solo un film costruito a misura di found footage ma anche l’opera del nuovo millennio che forse più di ogni altra riesce a fare di questa pratica, subissata da infinite e ormai polverose declinazioni metalinguistiche, un ritrovamento di sommo grado e al cubo, intimo e toccante: l’archeologia malinconica di una memoria liberissima e struggente restituita attraverso la forza docile ma destabilizzante di ciò che, con cocciutaggine forse altrettanto commovente, ci ostiniamo a chiamare ancora cinema.

Foto: BBC Films, British Film Institute, Screen Scotland, Pastel Productions, Unified Theory, Tango Entertainment

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