Air, la "commedia capitalista" di Ben Affleck su Michael Jordan e la Nike va a canestro. La recensione
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Air, la “commedia capitalista” di Ben Affleck su Michael Jordan e la Nike va a canestro. La recensione

Il film di e con Ben Afflekc sul rivoluzionario accordo tra Nike e Michael Jordan è nelle sale dal 6 aprile 2023

Air, la “commedia capitalista” di Ben Affleck su Michael Jordan e la Nike va a canestro. La recensione

Il film di e con Ben Afflekc sul rivoluzionario accordo tra Nike e Michael Jordan è nelle sale dal 6 aprile 2023

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PANORAMICA
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C’è quasi una forma di shock indotta dal trovarsi in una sala a vedere un film con due grosse star americane ma con un dispendio praticamente nullo di effetti speciali, niente draghi, nessuno che vola, e assolutamente zero creature aliene. Succede con Air, il nuovo film da regista di Ben Affleck, che si riserva anche il ruolo del fondatore della Nike Phil Knight. Proprio la Nike, intesa come marchio ma anche come sede fisica, come conglomerato di uffici che si presentano in una monotona scala di marroni, è lo scenario di questa “commedia capitalista”, in cui una trovata di marketing particolarmente riuscita (i prodotti della linea Air Jordan attualmente portano alla Nike qualcosa come 4 miliardi di ricavi all’anno) diventa l’ennesima metafora del sogno americano.

Il film inquadra un momento particolare del brand, con la Nike che, pur quotata in borsa e con un valore vicino al miliardo di dollari, si ritrova a valutare se chiudere la sua divisione basket. In quel settore ci sono infatti almeno due marchi che la surclassano: Converse, che veste i piedi dei maggiori campioni NBA (tra cui le due superstar Larry Bird e Magic Johnson), e Adidas, che ha le maggiori quote di mercato e soprattutto, con le sue tute acetate, si è consolidata come firma di gran moda tra i giovani. Per provare a riguadagnare terreno, il talent scout Sonny Vaccaro (Matt Damon) propone a Knight di investire tutto il budget sponsorizzazioni su un solo giocatore, un rookie (ovvero una matricola al primo anno nella NBA) che all’ultimo draft (il mercato dei giovani talenti provenienti dalle università) è stato scelto soltanto per terzo e principalmente grazie a un canestro allo scadere nella finale del torneo dei college. Quel giocatore è Michael Jordan.

A questo punto, con metodi da cinema da camera e una quasi totale assenza del basket giocato, Air racconta il doppio tentativo di persuasione operato da Vaccaro: nei confronti di Knight, che preferirebbe investire il budget in modo più tradizionale, e nei confronti della madre di Jordan (Viola Davis), che gestisce gli interessi del figlio con l’aiuto di un cinico agente interpretato da Chris Messina. L’intrattenimento che il film garantisce è tutto nei numerosi duetti in punta d’ironia tra Damon e i comprimari. Affleck interpreta Knight come un hippie salutista che usa il buddismo come filosofia commerciale, un imbranato con un gran intuito che nel ruolo della guida aziendale finisce spesso per suscitare l’ilarità dei suoi dipendenti; Messina va a ruota libera, dando vita alla versione grottesca e sboccata di Jerry Maguire; mentre Viola Davis conferisce una certa monotona gravità al ruolo della madre.

Ma il “metro” del film è comunque la caricatura, come dimostrano, oltre a Messina, Chris Tucker nel ruolo di un altro dirigente Nike che pare sempre strafatto di cocaina, e il mansueto designer delle scarpe interpretato da Matthew Maher. Anche se i momenti più notevoli sono quelli in cui in scena ci sono Damon e Jason Bateman, il suo collega del marketing, non solo perché sono i migliori attori del gruppo, ma perché entrambi donano ai propri ruoli una garbata malinconia, l’incarnazione del marchio non come epica sportiva ma come onesta mestieranza, uomini d’ufficio che cercano di portare avanti buone idee con testardaggine e ragionevoli dosi d’ansia. Ed è proprio in questo contrasto tra l’eccezionalità del personaggio Jordan e l’ordinarietà del lavoro d’ufficio, che si genera la suggestione. Una suggestione che esplode, assieme alle immagini di campo, nell’unica scena corale del film, nel terzo atto.

Certo, la retorica non sempre è sotto controllo. E certo: è una retorica di matrice capitalista, un grosso spot Nike. Ma è come se, liberandosi da remore politiche e dagli imbarazzi del product placement, Air ponesse in cima alle proprie priorità una questione di illusionismo: le mitologie sportive, negli ultimi 40 anni, si sono trasformate in prodotto spesso ancora prima che si rivelassero come tali (lo dice bene anche Una famiglia vincente, il film con Will Smith sulle sorelle WIlliams). E da quel momento in poi capire dove finisse il gesto sportivo e iniziasse il marketing non è più stato così semplice.

Air dimostra inoltre che il cinema mainstream per adulti, quello che evita i generi e sceglie le storie, può ancora ritagliarsi il suo posto in sala semplicemente contando sul talento di un buon regista, sceneggiatori e interpreti.

Foto: MovieStills

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