Tra le novità da non perdere, arriva al cinema giovedì 18 luglio Indagine su una storia d’amore, la nuova commedia di Gianluca Maria Tavarelli con Alessio Vassallo e Barbara Giordano, incentrata su due attori che decidono di prendere parte a un reality e vedono implodere la loro storia d’amore di fronte all’Italia intera. Noi abbiamo incontrato proprio il protagonista, già acclamato interprete di Mimì Augello nella fiction Il giovane Montalbano nonché protagonista di una miriade di altri successi tra teatro, cinema e TV.
Solo pochi giorni fa è stato premiato a Taormina con il Nastro d’argento speciale del SNGCI (Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani) per i suoi vent’anni di carriera. Ma ecco come ci racconta il suo nuovo film in uscita, la sua idea di spettacolo e del mestiere dell’attore.
«Indagine su una storia d’amore, il film di Gianluca Tavarelli, è stato presentato in anteprima al Festival del Cinema di Torino e siamo molto contenti perché anche ora, dopo l’anteprima romana, è stato accolto in modo molto positivo dalla stampa. Le critiche positive fanno piacere. Per quanto mi riguarda è stata anche l’occasione per una indagine su me stesso. Quando noi ci guardiamo allo specchio siamo la risultante di tutti gli amori della nostra vita. Io oggi sono Alessio in quanto Alessio è stato fidanzato con Francesca, Lorena, Eleonora ecc. ecc»
«Il film presenta poi molti spunti di riflessione interessanti. Ad esempio è una lente d’ingrandimento sul nostro ambiente, sul mondo dello spettacolo, la precarietà nella vita degli attori ma anche quella precarietà che in fondo tutti i ragazzi vivono, anche chi si è appena laureato in giurisprudenza o magari in architettura e non riesce a trovare lavoro. Questa precarietà lavorativa si riflette anche nella vita sentimentale. Quando fai fatica ad arrivare a fine mese anche la coppia ne risente».
«L’altro spunto di riflessione interessante del film riguarda poi i social. Io sono un analogico. Quando sono arrivato a Roma non esistevano internet, social, Google Maps, andavo in giro con la mappa stradale. E prima quando una storia finiva semplicemente ti separavi. Le strade si separavano e non si sapeva più nulla l’uno dell’altro. Un ragazzo di oggi quando la storia finisce sa già dopo tre giorni se lei è andata in spiaggia o ha bevuto lo spritz, e dopo pochi mesi sai già se vede qualcun altro… Credo sia una tortura. Uno strascico di quella relazione te lo porterai sempre dietro. Prima perdevi le tracce. Oggi è impossibile».
Nel vostro film c’è poi un elemento che fa deflagrare la crisi della coppia… Scheletri nell’armadio, una trasmissione che non esiste eppure rimanda chiaramente a quei famigerati reality tipo Temptation Island, un grande successo anche di questa estate televisiva. Tu cosa pensi di questo genere di programmi TV?
«Credo questi reality e certi salotti televisivi siano lo specchio dei social. Mostriamo sostanzialmente delle vite che non ci appartengono. Rispetto al mio Instagram io non sono solo il Nastro d’argento che ho vinto a Taormina o l’ultima vacanza che ho fatto, la mia vita è anche altro. Ma sui social mettiamo sempre in mostra il nostro lato migliore, acchiappalike, anche quando mostri il tuo lato fragile, perfino nel caso di una malattia sembra che tu stia sempre cercando l’approvazione degli altri».
«Il cortocircuito di Paolo e Lucia nel film è dato dal fatto che non riescono a fingere. Essendo attori sono convinti che nel programma avrebbero finto alla grande. Invece non riescono a fingere, sono reali nel reality, e questo manda tutto in vacca. Personalmente non amo questo genere di programmi TV. Trovo davvero poco etico che una persona per il proprio apparire metta a nudo, alla mercé di tutti cose come la malattia di una madre o la morte del padre, una malattia personale o magari il proprio orientamento sessuale, lo trovo svilente».
Il tuo personaggio Paolo in Indagine su una storia d’amore è un attore e ci tiene a rimarcare spesso di seguire il Metodo Stanislavskij. Senti di avere qualcosa in comune con lui? Ti ricorda qualcosa di te, magari agli esordi?
«Ma certo mi rivedo eccome, soprattutto all’inizio, quando studiavo all’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Tuttora studio molto, mi rivedo nella sua ossessione per il metodo, lo studio o nel poter dire “sono un attore vero”. Da un bel po’ di anni per fortuna per me quella precarietà è finita, ho la fortuna di poter scegliere, mi ritengo molto privilegiato. Però quella precarietà l’ho vissuta. Quando sono arrivato a Roma da Palermo per almeno 5 anni stavo in casa con altri studenti, facevo mille lavoretti, ricordo bene la precarietà, ma anche il volersi imporre, il desiderio di imporre la propria personalità».
Ho davanti il tuo curriculum ed è praticamente sterminato. C’è tutto, dal teatro al cinema e la tv. Da poco hai festeggiato vent’anni di carriera. C’è qualche titolo di cui sei più orgoglioso?
«Tante, tante cose, non ce n’è una in particolare. Penso al mio primo lavoro, La vita rubata con Beppe Fiorello (2008), una fiction che racconta la vera storia di Graziella Campagna, una ragazza di 17 anni uccisa dalla mafia. Mi ha cambiato dal punto di vista professionale e anche umano, visto che sono entrato in contatto diretto con tutto il tessuto dell’Anti-mafia. Poi sono molto legato a La stoccata vincente, il film per la tv di Nicola Campiotti (2023) dedicato alla vera storia del campione mondiale di scherma Paolo Pizzo, una storia di sport ma anche di malattia, è nata una forte amicizia tra noi. Poi certo l’incontro con Andrea Camilleri per La concessione del telefono – C’era una volta Vigata e Il giovane Montalbano (2012-2015). Ma ho vissuto momenti bellissimi anche prima del successo con Montalbano, anche se tante cose non vengono circondate perché all’epoca non c’erano i social».
«Anche della serie internazionale I Medici – Lorenzo il Magnifico (2018) ho dei bellissimi ricordi. E poi voglio citare La scelta di Maria, il film che ho girato nel 2021 con Sonia Bergamasco e Cesare Bocci sul Milite Ignoto, lo trovate in streaming su Rai Play. Sappiamo tutti dove si trova la tomba del Milite Ignoto a Piazza Venezia ma nessuno conosce la storia. Amo girare le storie vere che raccontano uno spaccato d’Italia. Amo i film in costume, ho avuto la fortuna di farne tanti, amo quella macchina del tempo che ti porta in epoche lontanissime. Quello per me è il mestiere dell’attore, la cosa che più mi diverte, che mi porta più lontano da me».
Il successo de Il giovane Montalbano ti ha cambiato un po’ la vita?
«Montalbano va in replica continuamente, ogni estate va talmente bene che tende a spazzare via tutto il resto che hai fatto. Ma sono felice, avere avuto l’opportunità di incontrare Camilleri per me significa aver incontrato uno dei più grandi autori del ‘900. Ma io sono il tipo che è felice di andare al supermercato da solo, vestito male, non sono il tipo che è felice se ti fermano per fare le foto.
Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi prossimi impegni? Dove ti vedremo?
«Ho appena finito di girare in Sicilia Arrivederci tristezza con Nino Frassica e Selene Caramazza. Ho recitato in una serie tv Rai Uno che si chiama Blackout. Poi c’è un’altra serie importante Rai ma non posso anticipare nulla. E con l’anno nuovo sarà in scena al Teatro Biondo e a Catania e in vari altri teatri stabili d’Italia, l’anno scorso con la stessa produzione abbiamo messo in scena La concessione del telefono mentre quest’anno porterò in tournée Il male oscuro di Giuseppe Berto, parla di depressione e per me un altro dei più grandi capolavori del ‘900 italiano».
Domanda per noi classica: quali sono i tuoi Best Movie? E magari anche le tue serie preferite?
«Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. E il mio film preferito è Carlito’s Way, mentre la serie direi I Soprano».
In chiusura, nei tuoi vent’anni di carriera, come hai visto cambiare l’industria dello spettacolo italiano?
«Per il cinema d’estate credo bisogna inventarsi qualcosa in più, creare un movimento, qualcosa di virale. Cinema Revolution è un’iniziativa interessante ma non basta. Anche il mestiere di attore è cambiato totalmente. Quando studiavo a Roma e in estate tornavo a Palermo la Scuola d’Arte Drammatica Silvio D’Amico nessuno sapeva cosa fosse. Ora solo nella città di Palermo ci sono almeno quattro o cinque scuole solo per preparare gli allievi al provino della Silvio D’Amico. È come se in una stanza prima fossimo in trecento e ora centomila. La difficoltà è soprattutto per i ragazzi giovani. Ma soprattutto è cambiato il fatto che prima il cinema per noi era un’esperienza fondante».
«Andare al cinema era un evento. Non è possibile che un film dopo due settimane sia già sulle piattaforme. Prima passavano quattro anni prima che uscisse in videocassetta. I teatri sono sempre pieni, anzi sono stracolmi, il cinema se lo mandi in piattaforma lo uccidi. Non c’è più il rito. Anche per quanto riguarda le fiction, erano un appuntamento e avevi il desiderio di scoprire la settimana successiva cosa sarebbe accaduto. Come ha detto Davide Ferrario quando abbiamo lavorato insieme al docu-film Le città visibili di Italo Calvino (2023): l’humus del nostro lavoro, del rito, è la fine. Oggi non esiste più quella idea di finale, se tutto è aperto perché magari ci sarà la seconda stagione è come se fossimo al Fast Food».
E se anche voi cercate per questa calda estate una commedia leggera ma non priva di cuore e anima, capace di intrattenere senza però incappare in quel gusto omologato e insipido del Fast Food, Indagine su una storia d’amore vi aspetta nei nostri cinema da giovedì 18 luglio. Non perdetelo!
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