Waad al-Kateab, giovane filmmaker siriana, ha scelto di imbracciare la telecamera per raccontare la rivolta di Aleppo e la repressione scaturita per mano del sanguinario regime di Bashar Al Assad. Alla mia piccola Sama, girato dal 2012 al 2016, è il frutto di questo tenace e commovente atto di resistenza: continuare a filmare per rendere l’incubo più sopportabile, di fronte a un genocidio che ha soppresso nella tortura le voci dei dissidenti e trasformato le riprese amatoriali coi cellulari in uno strumento per certificare la realtà di ciò che stava accadendo. Per continuare, in un certo senso, ad esistere.
Alla mia piccola Sama, nominato come miglior documentario agli Oscar 2020 (dov’è stato battuto da American Factory) e vincitore del BAFTA, è uno dei documenti più toccanti e agghiaccianti mai prodotti sul conflitto siriano e si fa istantanea ad alto tasso di empatia di quanto potere possa avere il mezzo cinematografico quando diventa fluido e onnipresente nel quotidiano, accettando di diluirsi e sbriciolarsi nelle pieghe più dolenti di una moltitudine di parabole umane piegate da una crudeltà cieca e sorda.
Waad al-Kateab ha strutturato il suo lungometraggio come una missiva ideale alla figlia, nata l’1 gennaio del 2016, “con addosso l’odore di Aleppo”, e avuta dalla donna insieme al medico volontario Hamza: un moto vitale in un caos di polvere e ordigni, che con la sua sola nascita è riuscita sconvolgere le vite dei suoi genitori più dell’insensatezza della barbarie siriana. Può sembrare retorico, aberrante o facilmente consolatorio dirlo, eppure il cuore poetico del documentario sta tutto in questa spinta d’incoscienza e fiducia assegnata al battito di una nuova esistenza, alla rinascita da far fiorire in un deserto di devastazione.
Alla mia piccola Sama è un film in cui gli ostinati brandelli di quotidianità catturati dalla regista, che non arretra nemmeno al cospetto dei dettagli più macabri e colmi d’orrore ma con uno sguardo estremamente morale, fanno il paio con una costante condivisione del dolore da parte di una comunità di uomini e donne i cui canti tentano di coprire il rumore delle bombe e il pallottoliere inesorabile dei morti, guidati dalla consapevolezza che ad Aleppo non c’è tempo per il lutto. Specie se si corre il rischio di vedere il sangue ovunque, di cristallizzarlo nella propria mente, rintracciandolo nei volti tumefatti di bambini rimasti orfani di fratelli e avvertendolo nell’incedere degli aerei russi che setacciano trafiggono il cielo sopra la capitale siriana e lo tramutano in una cappa d’angoscia senza fine.
Alla mia piccola Sama è dunque una struggente lettera d’amore sotto assedio a una figlia che si affaccia nel sole pallido di un mondo ingiusto, un video-racconto per immagini che associa l’istanza giornalistica (Waad al-Kateab ha collaborato con l’emittente britannica Channel 4 News con la striscia quotidiana Inside Aleppo) al bisogno forse più grande: far comprendere a una futura ragazza e donna il perché i suoi genitori hanno deciso di non abbandonare la Siria, di continuare a lottare rimodulando sogni e ambizioni personali (allo scoppio del conflitto, la regista era al quarto anno di economia) e preservando il proprio diritto a salvare vite e a farsi testimoni diretti ma non privilegiati delle colpe della Storia.
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