Almost Human
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Un poliziotto e un androide indagano assieme in un futuro alla Blade Runner

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Un poliziotto e un androide indagano assieme in un futuro alla Blade Runner

Ormai, quando c’è di mezzo J.J. Abrams, anche se solo in veste di produttore come in questo caso, è diventato fin troppo facile sapere cosa aspettarsi: sci-fi ingenua e un po’ retrò, qualche mistero (per ora?) irrisolto, tanto dramma umano e il tentativo di coniugare action e character drama. Una formula che, se con Fringe funzionava benissimo, dopo i vari Revolution e Alcatraz ha cominciato a mostrare un po’ la corda, e con Almost Human rischia di diventare fallimentare – almeno a giudicare dal pilot. I presupposti, tra Blade Runner e il buddy cop movie anni Ottanta, sono questi: in un futuro piagato dal crimine, ogni poliziotto viene affiancato da un androide quasi indistinguibile da un essere umano, ma efficiente come una macchina. Protagonista è il detective John Kennex (Karl Urban), che durante una sparatoria – raccontata con una delle sequenze introduttive girate peggio che la TV ricordi – perde una gamba e la memoria. Mollato il lavoro da poliziotto, Kennex si dedica alla ricostruzione del proprio corpo e della propria vita, finché non viene richiamato in servizio e affiancato a un androide (Michael Ealy) di una generazione ormai considerata obsoleta perché «troppo umana». Ovviamente tra i due scocca la scintilla, prima della violenza poi del rispetto reciproco, grazie in particolare alla soluzione di un caso particolarmente intricato e uscito a forza dalla prima stagione di Fringe. Estetica retrofuturibile e bladerunneriana fino al midollo (pioggia, neon, scritte in giapponese), struttura da procedural (un “caso” per puntata), ottima alchimia Urban/Ealy e cast di supporto anonimo quanto la storia raccontata: difficile capire dove Almost Human voglia andare a parare.

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