Criminal Minds è una serie che ha segnato profondamente il genere crime grazie al suo approccio psicologico al crimine. Fin dalla sua prima messa in onda nel 2005, ha saputo distinguersi da altri polizieschi per l’attenzione rivolta non solo alla cattura dei colpevoli, ma soprattutto alla comprensione delle loro menti deviate. L’Unità di Analisi Comportamentale dell’FBI (BAU) indaga su casi complessi, spesso legati a serial killer brutali, e fa luce sulle dinamiche mentali e le motivazioni che spingono gli assassini ad agire.
Tra tutti i mostri che hanno attraversato i 324 episodi della serie (più quelli dello spin-off Criminal Minds: Evolution), uno in particolare continua a generare disagio, ansia e terrore, anche a distanza di anni: il dottor Stanley Howard, protagonista dell’episodio Spaventati a morte, terzo della terza stagione.
Interpretato da Michael O’Keefe, Stanley Howard è l’emblema del male nascosto sotto un’apparenza rassicurante. Psichiatra affermato, marito, padre adottivo, fondatore di una fondazione per bambini abusati: tutto in lui suggerisce empatia, cura e impegno sociale. Ma dietro quella facciata si cela un predatore freddo e metodico, che usa la fiducia come arma e la paura come strumento di tortura.
Il suo passato è segnato da un’infanzia traumatica. Da bambino, veniva rinchiuso per ore in un armadio dalla madre, sviluppando così una fobia paralizzante per il buio. Una ferita mai rimarginata che Stanley trasforma, da adulto, in uno strumento di morte. Dopo aver lasciato la pratica clinica ufficiale, crea il “Goodman Institute”, un falso centro di ricerca sulle fobie. Tramite volantini, attira persone nuove in città, spesso senza rete sociale, proponendo un aiuto psicologico gratuito. In realtà, durante le sedute, raccoglie informazioni sui loro timori più profondi per poi usarli contro di loro in una terrificante forma di “terapia espositiva” letale.
Il metodo di Stanley è tra i più crudeli mai visti nella serie. Non si limita a uccidere: trasforma le paure personali in trappole mortali. Una donna claustrofobica viene rinchiusa in una cassa e lasciata morire tra le urla. Un giovane con idrofobia viene annegato deliberatamente; un’altra vittima viene sepolta viva. Ogni volta, Stanley osserva la scena con distacco, prende appunti, annota livelli d’ansia, come se fosse davanti a cavie da laboratorio. Non mostra alcuna empatia, alcuna emozione, solo freddezza clinica. Il suo comportamento ricorda quello di uno scienziato disumano, che ha rimosso ogni briciolo di umanità in nome di una malata logica interiore.
L’orrore, in questo caso, non deriva solo dalla violenza degli atti, ma dal tradimento della fiducia. Stanley è un medico, una figura che evoca sicurezza, che ha giurato di proteggere e curare. La sua malvagità è tanto più disturbante proprio perché mascherata da buone intenzioni. Ogni paziente che si siede di fronte a lui lo fa nella convinzione di ricevere aiuto; invece, finisce per essere manipolato, tradito e ucciso. È un attacco non solo fisico, ma psicologico e simbolico: cosa succede quando coloro che dovrebbero curarci diventano i nostri carnefici?
A rendere Stanley Howard ancora più inquietante è la sensazione che il suo personaggio non sia del tutto frutto della fantasia. Alcuni fan e critici hanno ipotizzato che possa essere ispirato a veri casi di cronaca, come quello del Cleveland Torso Murderer, un serial killer mai identificato attivo negli anni ’30, che colpiva vittime isolate e vulnerabili nei pressi di corsi d’acqua. Anche questo killer si sospettava fosse un medico, per via della precisione chirurgica con cui mutilava i corpi. Le somiglianze con Stanley – vittime invisibili, modalità studiate, apparente anonimato – sono impressionanti. E l’idea che possa esistere un assassino simile, magari mai scoperto, rende l’episodio ancora più angosciante.
Inoltre, non è l’unico caso in cui un medico ha usato la propria posizione per fare del male. Basti pensare a Christopher Duntsch, il vero “Dr. Death”, protagonista di un’inchiesta e di una docuserie: un chirurgo che mutilava volontariamente i suoi pazienti, nascondendosi dietro il camice. Il parallelismo con Stanley è evidente: entrambi rappresentano una delle paure più profonde dell’animo umano, ovvero la possibilità che chi ci cura possa distruggerci.
In una serie costellata di assassini memorabili, Stanley Howard non ha il carisma teatrale di altri villain come il Replicatore o George Foyet. Eppure, è proprio la sua ordinarietà a renderlo indimenticabile. Non è appariscente, non è sovraesposto, non è nemmeno particolarmente loquace. È l’uomo qualunque, il vicino di casa, il medico gentile. E proprio per questo fa paura: perché potrebbe essere chiunque. La sua capacità di passare inosservato, di muoversi nella società senza destare sospetti, lo rende un incubo che può nascondersi ovunque.
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Fonte: Collider
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