Rocco Tanica lo introduce così: «È una delle persone più oneste e sincere che abbia mai conosciuto. Signori e signori, ecco a voi Rocco!». A quel punto la sala Astra si infiamma, accoglienza da stadio, e il divo del porno sale sul palco accompagnato dalla standing ovation di giovanissimi fa. Ma cosa è venuto a fare Siffredi nella patria dei nerd del Lucca Comics & Games? È arrivato qui per presentare il documentario diretto dai francesi Thierry Demaziere e Alban Teurlai – già passato dalle Giornate degli Autori dello scorso Festival di Venezia – in cui, come mai prima, si è davvero messo a nudo (potete godervene un assaggio nel trailer).
Per più di un’ora, un professionalissimo ma sempre ironico Rocco Tanica, con MacBook Pro in mano, ha intervistato l’omonimo amico Rocco Siffredi nell’incontro ribattezzato, ça va sans dire, Rocco Vs Rocco. Ecco cosa si sono detti.
Rocco Tanica: Rocco è un documentario potentissimo. Dei film spesso si dice: ”il regista ha saputo leggere i personaggi”. Be’ io ho sempre pensato che questa frase fosse una stronzata, ma non in questo caso perché Rocco è un film destabilizzante che fa ridere e piangere insieme.
Rocco Siffredi: «Ci sono voluti due anni per realizzarlo. In passato mi avevano già proposto di fare un film su di me ma allora avevo solo 40 anni e sinceramente mi sembrava un po’ troppo presto: non avevo molto da dire. Poi non volevo mettermi nelle mani di un regista italiano, non mi sarei fidato: noi italiani abbiamo problemi a relazionarci col sesso, per noi resta sempre un tabù, è una questione culturale».
Tanica: Nel film fai esplicito riferimento al diavolo…
Siffredi: «Tutto è iniziato quando avevo sei anni e ho dovuto affrontare la tragedia della morte di mio fratello e il conseguente dolore, inesauribile, di mia madre: in quel momento ho iniziato a sognare il diavolo, era come se lo invocassi e lui mi diceva: “io ti do la possibilità di far star meglio mamma ma in cambio voglio la tua anima!”. Una visione che ricorreva ogni 5-6 anni: ma io rispondevo sempre “no”. Anche se poi, nella vita, ho innescato diversi meccanismi autodistruttivi, di autosabotaggio direi».
Tanica: In tutta la tua carriera, questo è il film che ti ha messo più a nudo.
Siffredi: «Questo film è stato la mia terapia: io non sono mai stato da uno psicologo, come tutti gli abruzzesi sono una testa dura e non voglio chiedere aiuto, dunque questa esperienza mi è servita a star meglio. Sono stati due anni duri ma poi mi sono detto: tua madre non vuole che soffri più! E allora mi sono deciso: relax!».
Tanica: Noi due siamo coetanei. Non so tu, ma io da ragazzino non potevo certo cercare certe cose su Google e allora mi ero trasformato in una sorta di rabdomante dei giornaletti porno: uscivo di casa, giravo un po’ e mi dicevo “in quel cestino troverò uno dei giornaletti”, sicuro che qualcuno lo avesse buttato. Oh, succedeva davvero, riuscivo davvero a trovarli!
Siffredi: «Ifix, tcen tcen! Io da ragazzino ero fissato con Supersex (rivista di fotoromanzi pornografici degli anni ’70): un giornaletto in bianco e nero a puntate. Folgorante. Anche io andavo a cercare vicino i giornaletti, non nei cestini ma ai lati delle strade dove passavano i camionisti sperando che qualcuno li buttasse dal finestrino: una volta trovati, strappavo le pagine e le appendevo in cantina. Per me quelle donne erano le mie fidanzate e ci passavo davanti intere ore… Fin troppo tempo: una volta sono finito in ospedale perché avevo esagerato con la masturbazione! Comunque è stato vedendo il primo giornale porno che ho capito che volevo fare questo lavoro».
Tanica: La prima volta che ti sono venuto a trovare sul set sono rimasto colpito dalla professionalità e dall’organizzazione di tutti voi. Nonostante l’argomento scottante riuscivate ad avere il controllo su tutto.
Siffredi: «Girare film porno è una questione di estrema professionalità, non si tratta di scopare e basta. E poi non è solo una questione meccanica: ai miei attori richiedo sempre di darmi qualcosa in più».
Tanica: Nel film porno ci vuole una trama o basta un contesto? Secondo me la storia non serve a nulla…
Siffredi: «Però il contesto aiuta gli attori. Prendi per esempio una ragazza che prima faceva la barista o una laureata: se le dai una situazione diversa, lei si trasforma. Se le fai interpretare un altro personaggio si apre come un fiore. La maggior parte di noi usa la nostra sessualità al 10 %, e anche io sarò arrivato al 50%. Per me è antierotico che due persone facciano sesso senza un motivo: i miei attori devono avere sempre una ragione per farlo, può essere semplicemente uno sguardo o una sensazione. Trent’anni fa, quando ho iniziato, non esisteva nulla: oggi c’è il doping, e non parlo solo di viagra, ma anche di punture che ti garantiscono delle prestazioni prolungate, però se nello sguardo di certi attori non c’è nulla non funziona: invece, ti devi connettere a una donna. Io rimango un tipo romantico».
Il documentario Rocco uscirà nelle sale italiane dal 31 ottobre al 1° novembre.
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