Angela Finocchiaro: «Ci vuole un gran fisico!»
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Angela Finocchiaro: «Ci vuole un gran fisico!»

Intervista all'attrice milanese, da domani in sala con una commedia agrodolce sulla crisi di mezz'età delle donne

Angela Finocchiaro: «Ci vuole un gran fisico!»

Intervista all'attrice milanese, da domani in sala con una commedia agrodolce sulla crisi di mezz'età delle donne

Volto originale e interessante di 30 anni di cinema italiano, Angela Finocchiaro vive il mestiere con leggerezza e semplicità, alternando la presenza sul grande schermo al suo primo vero amore: il teatro, che le ha dato tanto e continua a fare con costanza. Ci ha raccontato di questa grande passione nata nella Milano degli anni ’70, una città in fermento che «sembra l’opposto di quella che è oggi», nelle parole malinconiche di Angela. Ma soprattutto ci ha raccontato del suo nuovo film: la commedia Ci vuole un gran fisico, opera prima di Sophie Chiarello, in cui interpreta Eva, una donna che deve fare i conti con il tempo che passa.

Best Movie: Giocando con il titolo del film, ci vuole più il fisico per accettare i 50 anni, crescere un adolescente o affrontare l’Italia di oggi?
Angela Finocchiaro: «Mi sembra ci voglia un gran fisico per tutte queste situazioni, ma non riesco a fare una classifica. Avere 50 anni e passare alla seconda fase dell’esistenza ha le sue problematiche, diverse da quelle di crescere un adolescente. Mentre il vivere nell’Italia di oggi le contiene un po’ tutte, anche perché vivere oggi pare essere diventato tremendamente complicato. Il gran fisico ci vuole proprio per andare avanti: muscoli, coraggio e lucidità».

BM: Che donna è Eva, il suo personaggio?
AF: «Una di quelle donne che pensa di non invecchiare mai. Lavora nel reparto di cosmetici di un grande magazzino e si sente dall’altra parte della barricata, priva di preoccupazioni. All’avvicinarsi delle 50 candeline, però, tutte queste certezze crollano e comincia a sentirsi invisibile. È una donna che in un certo senso ha sposato il marketing dei cosmetici e ne ha fatto una ragione di vita, dimenticandosi di se stessa, della propria giovinezza, del femminismo degli anni ’70».

BM: Possiamo dire che è una commedia sociologica?
AF: «Non lo so. Speriamo sia solo una commedia…».

BM: Che ricordi ha dei suoi esordi? E quanto è cambiato il mondo del cinema e dello spettacolo da allora?
AF: «I miei esordi sono stati fondamentali, perché mi hanno insegnato un metodo di lavorare autonomo. Partendo dalla vivacità culturale della Milano degli anni ’70 – in un periodo in cui praticamente si inciampava nel teatro anche non volendo – sono cresciuta con gruppi che si autogestivano e costruivano gli spettacoli attraverso l’improvvisazione e la capacità di adattarsi a più ruoli. Questa formazione di base mi è servita moltissimo ma poteva esistere solo in quel clima culturale, dove tutto era più semplice grazie all’esistenza di circuiti teatrali di serie A,B e C e alla facilità con cui ci si poteva esprimere».

BM: Cosa è successo a questa Milano?
AF: «È praticamente morta, tanto che me ne sono andata». …

(Foto di: © Photomovie/Stylaz)

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