Apollo 10 e mezzo, l'America vista dalla luna: la recensione del film d'animazione di Richard Linklater
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Apollo 10 e mezzo, l’America vista dalla luna: la recensione del film d’animazione di Richard Linklater

Il regista di Prima dell'alba e Boyhood è tornato all'animazione in rotoscope, realizzando il suo film più spudoratamente personale (ora disponibile su Netflix)

Apollo 10 e mezzo, l’America vista dalla luna: la recensione del film d’animazione di Richard Linklater

Il regista di Prima dell'alba e Boyhood è tornato all'animazione in rotoscope, realizzando il suo film più spudoratamente personale (ora disponibile su Netflix)

Apollo 10 e mezzo Linklater
PANORAMICA
Regia (4)
Sceneggiatura (3.5)
Fotografia (3.5)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (3)

Stanley, un uomo di mezza età, racconta la sua vita di bambino di 10 anni in un quartiere suburbano di Houston, Texas, nel 1969, intrecciando elementi nostalgici al racconto fantastico di un viaggio sulla luna. Siamo infatti alla vigilia dell’allunaggio e lo sbarco sull’Apollo 11 è atteso con trepidazione da milioni di spettatori compreso Stan, che vive vicino alla sede della NASA e ha un padre che lavora proprio lì, anche se da dietro una scrivania. 

Richard Linklater è un cineasta abituato a maneggiare la riflessione sentimentale sul tempo con una lucidità poetica e un equilibrio filosofico puntualmente limpidi, sfaccettati e sorprendenti: un autore in grado di fluttuare con naturalezza tra levità e concretezza, tra frammenti e dati di vita sottratti quasi alle misteriose formule del documentario e dolci ingranaggi di fiction dai meccanismi addirittura eterei, malinconici proprio perché quasi sempre insondabili.

Era così nella trilogia sull’amore nel tempo (e sul tempo nell’amore e dell’amore) scaturita da Prima dell’alba, nel fluviale film-esperimento Boyhood e accade lo steso anche in Apollo 10 e mezzo, operazione che va oltre ogni divisione corrente tra grande e piccolo schermo e qualsivoglia schematismo riduttivo da ricondurre alla committenza produttiva. Il regista, nato negli stessi luoghi del protagonista, rispolverando la tecnica del rotoscope già esplorata in Waking Life e A Scanner Darkly ha realizzato infatti un film d’animazione piccolossimo nella sostanza ma dal respiro autobiografico addirittura mozzafiato, nel quale il rifiuto del live action è una scelta ben precisa, che produce un’idea di senso e di libertà cinematografica sconfinata e assoggetta sotto lo stesso filtro le immagini di repertorio e le interviste alle celebrità, il coming of age del protagonista e quello di un’America intontita da un sogno ottimista e infantile di futuro, a misura di approdo spaziale mentre infuriavano contemporaneamente le ferite del Vietnam. 

Ogni dettaglio, in Apollo 10 e mezzo, è inquadrato, catturato e colto come per la prima volta, in una miracolosa convergenza tra la purezza del racconto archetipico su un ragazzino americano qualunque e l’anima di un paese letteralmente nato ieri, sempre a misura di wonder kid: «Qui non c’era nessun senso della Storia. Tutto, a perdita d’occhio, era nuovo di zecca», dice la voce narrante di Stan, doppiato in originale da Jack Black, col quale Linklater girò l’indimenticato School of Rock, a proposito dei sobborghi a sud di Houston. La tecnica del rotoscopio in tal senso è perfettamente calzante, perché scaturisce a partire direttamente delle immagini reali riprese dal vero, rendendole astratte e trasfigurandole con un slancio non dissimile da altri film di Linklater sul passato dell’America, come La vita è un sogno e Tutti vogliono qualcosa, e con la stessa bulimica ma in fondo soffusa, apatica e peculiare vitalità, a conti fatti più vicina al cicaleccio tenue che all’accumulo smodato di stimoli.

In virtù di tale procedimento mitopoietico, Apollo 10 e mezzo si candida a formare con C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino e Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson un ideale, recentissimo trittico sulla genesi dell’immaginario collettivo a stelle e strisce a caccia di intersezioni tra cinema, immaginario e dati di realtà, ma allo stesso tempo si ritaglia la propria scanzonata e attonita autonomia col suo catalogo affettuoso di riferimenti, oggetti pop, monili, drive-in e detriti condivisi di trascorsi analogici, da Il mago di Oz alla sospensione dell’incredulità  – familiare, intima, condivisa – da consumarsi rigorosamente intorno al piccolo schermo (reso grande dal surplus di affettività e d’immaginario), ammaliati e perfino stregati dal riverbero eterno dell’America vista dalla luna. 

Foto: Netflix Animation, Minnow Mountain, Submarine, Detour Filmproduction

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