Un padre (Fabrizio Bentivoglio) che sembra la versione veneta del Grande Lebowsky, insegnante pigro che campa di ripetizioni e che ha lasciato l’insegnamento perché l’ha visto “rovinare le menti migliori della sua generazione”. Un figlio (Filippo Scicchitano) sbucato fuori quasi per caso e già adolescente, che ha voglia di tutto tranne che di studiare, nonostante sia un tipo sveglio e dal carattere robusto. E una serie di inconvenienti che rischiano di bruciarli entrambi, trasformando pigrizia e mancanza d’ambizioni in una melma dalla quale è difficile uscire (o peggio). È questo l’orizzonte sul quale galleggia Scialla! (vincitore a Venezia 68 della sezione Controcampo Italiano), commedia scritta e diretta da Francesco Bruni, all’esordio alla regia, ma sceneggiatore di fiducia di Virzi fin dai tempi de La Bella Vita (1993). Un prodigio di misura, che si tiene sempre lontano dai rischi della retorica e della mascherata tipici della comicità tricolore, raccontando l’incontro/scontro di due persone che si ritrovano ai margini della società per indolenza e colpe proprie. Un padre e un figlio che, attraverso la scoperta reciproca, troveranno un modo e una ragione di affrontare la vita con tutt’altro piglio.
A margine della conferenza stampa di presentazione del film, Best Movie ha incontrato il protagonista del film Fabrizio Bentivoglio.
BEST MOVIE: Il film gira attorno al gap generazionale, è la storia di un padre e di un figlio adolescente che si scoprono l’un l’altro all’improvviso, e hanno bisogno di trovare un canale di comunicazione.
FABRIZIO BENTIVOGLIO: «È un tema fecondo e in totale divenire. Gli slang giovanili hanno vite molto brevi, si rinnovano con grande velocità, ed è necessario aggiornarsi continuamente. “Scialla”, anche la parola, sarà sostituita da qualcos’altro molto in fretta, il che obbliga il genitore a interessarsi di questi linguaggi in modo costante, e non solo quando esce un film o si diffonde un determinato fenomeno».
BM: Viene facilmente in mente I Soliti Idioti, un film che ha creato che dei tormentoni che sono entrati a far parte del linguaggio dei ragazzi, ed è stato aspramente criticato.
FB: «Io non conoscevo il programma televisivo e quando è uscito il film ho persino pensato che si trattasse di un prodotto straniero. Però ho letto le polemiche che sono seguite. Mi è venuto in mente quando uscì Eccezziunale Veramente!, che riempì le sale di giovani, attirandosi al contempo le accuse di essere una sottocultura deprecabile, quando invece oggi è stato ampiamente rivalutato. Credo che prima di essere così tranchant le cose vadano viste, contestualizzate e capite. Non avendo visto il film e la sit-com fatico a esprimermi, ma ho il sospetto che questo fenomeno racchiuda qualcosa che magari è criptico per quelli della mia età, quasi un’altra lingua, ma che per i ragazzi ha significato, indipendentemente dalla questione volgarità. E così invece di cercare di capirlo, molti lo rifiutano e basta».
BM: La cultura può anche far male? Nel film il ragazzo che studia di più è diventato un delinquente incallito, mentre il protagonista fatica a capire il valore di quello che gli insegnano a scuola.
FB: «La stessa vicenda di Enea e Anchise (Secondo il mito, Enea salvò il padre Anchise dall’incendio di Troia portandolo via sulle spalle, un aneddoto che per i due protagonisti del film assume un significato particolare, NdR), con lo stesso significato, va raccontata con parole diverse a seconda del ragazzo che hai di fronte. Si parla di amor filiale e di rispetto, ma quel che è importante è quello che si fa di queste nozioni e di questi concetti, non il semplice fatto di insegnarli. Si deve partire dalle persone, non dai libri».
BM: Nel film lei interpreta un insegnante del nord-est, in particolare di Padova, trapiantato a Milano. Uno con un indole pigra, quasi un Grande Lebowsky veneto.
FB: «L’indole del nord-est la definirei “lagunare”, non semplicemente laboriosa. La cultura del lavoro, il rispetto per chi sa farlo bene è evidente, però uguale o contrario a questo aspetto c’è quello “lagunare”, ovvero di chi segue i tempi oscillanti delle acque della laguna, che sei ore si alza e sei ore si abbassa. È un decantare del tempo: in certi momenti vedi quelle stesse persone che hanno una grande cultura del lavoro e non te le immagineresti mai a lavorare. Portano dentro quasi una “malinconia”, che è tipica della parte del Veneto più a est, più vicina al mare, Padova e Venezia in particolare».
BM: La sceneggiatura di Scialla! è molto superiore alla media delle commedie che escono in Italia. Come mai sono così rare? Esiste una vera industria del cinema da noi?
FB: «Ci sforziamo di credere che sia così, ma è più simile all’artigianato. Si vive di casi singoli, che scaturiscono dal nulla: saltano fuori e tu non capisci bene com’è successo. Scialla! è la riprova che un’ottima sceneggiatura, uno scritto pensato e sedimentato con personaggi solidi, su cui poi puoi anche improvvisare sul set, è fondamentale».
BM: La cosa che mi ha colpito di più è il modo in cui si evita sempre il rischio della retorica. Tutti gli accadimenti fondamentali non sono mai sottolineati. Di solito da noi, così abituati alle maschere comiche e alla sceneggiata, succede il contrario. Mentre è più facile ritrovare questo stile nel cinema anglosassone.
FB: «Queste cose non avvengono per caso: bisogna innanzitutto essere consapevoli del rischio della retorica, per poterlo evitare. E nel momento in cui lo si sa, bisogna saper escogitare un modo per poterlo evitare. È un problema culturale. Se non ne sei consapevole, al massimo puoi essere fortunato e non caderci».